di Andrea Patanè *
La mia esperienza in India inizia in un nuvoloso sabato di fine agosto. Ancora inconsapevole del carico d’emozioni che da lì a poco mi avrebbe investito sono giunto all’aeroporto di Hyderabad, nello stato dell’Andhra Pradesh in compagnia dei miei due amici Sara e Gianmarco. Fin da subito mi sono reso conto che pur vivendo un grande sviluppo economico l’India non riesce a nascondere i milioni d’indigenti e analfabeti che vivono nel Paese. La povertà diffusa costringe la quasi totalità della popolazione che vive nelle zone rurali a sopravvivere in condizioni di miseria. La Jeep corre veloce tra le strade di un asfalto ormai consumato e fango, e migliaia di uomini, donne, bambini e anziani sono lì immobili sotto una pioggia battente impotenti nella loro più assoluta miseria. Sono ospite ormai da due settimane presso l’organizzazione non governativa “Bala Vikasa Social Service” che si occupa di promuovere progetti di sviluppo per il territorio. Il motto “Help the people to help themselves” è ben chiaro a tutti coloro che svolgono il proprio lavoro all’interno della struttura che ha sede nella città di Warangal. L’obiettivo è quello di rendere autonomo chi ha beneficiato dell’aiuto per non doverlo far dipendere per sempre da una qualche forma di sostegno.
Ho trascorso la prima parte del mio soggiorno nella visita di molti villaggi in cui sono stati promossi progetti di sviluppo quali pozzi di acqua, depuratori, aiuto ai contadini mediante il microcredito. Ho visitato le scuole, dove i bambini seguono le lezioni senza bagni, banchi, sedie e tanto altro. La visita di questi luoghi ha lasciato in me un segno indelebile, mi ha fatto sentire piccolo davanti ai piccoli, il portafoglio rigonfio di euro mi è apparso improvvisamente vuoto davanti ai sorrisi dei bambini che correvano scalzi accanto a me, entusiasti di condurmi per mano nei luoghi in cui vivevano. Felici di mostrare all’inaspettato ospite che la strada che gli viene imposta, difficile e povera, tracciata innanzi a loro, non può annientare il loro spirito, e il bacio di Cristo sembrava tangibile nei loro volti. Mi sono venute in mente le parole di Pasolini su questo paese: «Ogni volta che in India si lascia qualche persona si ha l’impressione di lasciare un moribondo che sta per annegare in mezzo ai rottami di un naufragio, ormai tutte le strade dell’India dietro di me erano seminate di naufraghi che non mi tendevano neanche la mano». Lo stupore si trasforma quasi in vergogna quando, tra le strade di fango, incontro chi è disposto a dividere con il fratello bisognoso quel poco che possiede. Il grande insegnamento di una piccola donna di un villaggio vicino a Warangal che, guadagnando l’equivalente di un solo euro al giorno, trova la forza di dividere quel poco per nutrire un bambino orfano.
Le mie visite insieme ai miei due compagni di viaggio si alternano con la partecipazione al corso “Community Driven Development” a cui hanno preso parte esponenti di Ong provenienti da svariati Paesi del mondo: Afghanistan, Canada, Etiopia, Nepal, Tanzania, Sri Lanka, Cambogia, Bangladesh. Il corso ci ha dato l’opportunità di poter vivere un’esperienza unica a stretto contatto con chi dedica la propria vita per lo sviluppo del proprio Paese e nell’aiuto del prossimo. Professori di alcune università indiane si sono alternati per spiegare il metodo di sviluppo che il Bala Vikasa Social Service promuove sul territorio. Le mie giornate in questo luogo, dove la storia sembra essersi fermata, trascorrono veloci e il mio tempo sembra invece fuggire come inseguito da qualcosa e così sono arrivato alla fine del mio viaggio. Tra pochi giorni tornerò a casa. Nei miei occhi però rimarrà per sempre impressa la luce di questi uomini che chiedevano in silenzio aiuto e nella mente il ricordo di tanti poveri pronti a dividere quel poco che il destino gli ha voluto donare, forse coscienti di esserne solo custodi passeggeri. E, infine, la preghiera di un missionario italiano incontrato tra i lebbrosi e i malati di Aids: «Chiedesti i miei occhi, Signore, per vedere la sofferenza dei poveri. Li chiusi subito perché la loro vista mi disturbava troppo e non mi lasciava dormire».
* 23 anni di Acireale (CT), quinto anno di giurisprudenza - Collegio Augustinianum