Come e quanto le trasformazioni indotte dai social media nelle pratiche della politica estera e della diplomazia stanno ridisegnando le fonti di informazione, vere o fake, e quindi il modo in cui vengono prese le decisioni nell’arena globale? Con quali opportunità e quali rischi la diplomazia può oggi utilizzare le reti di social media e i relativi ecosistemi? Quali sfide all’ordine liberale internazionale e al sistema di Stati sovrani - che insieme alle istituzioni internazionali erano finora riconosciuti come unici soggetti di diritto internazionale - pone oggi la Webcraft? E ancora e più in generale, siamo in presenza solo di un salto tecnologico nelle piattaforme di comunicazione della diplomazia o piuttosto di un fenomeno di ben altra portata?

A queste domande hanno risposto i relatori della vivace e partecipata tavola rotonda dal titolo “La Digital Diplomacy nell’era dei Social Media”, promossa dal Centro Studi Americani (Csa) e dall’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica (Almed) nell’ambito del Program in Cultural Diplomacy, che si è svolta a Roma, nella sede del Csa lo scorso 15 marzo.

La diffusione di strategie e pratiche digitali nei Ministeri degli Esteri, negli ultimi dieci anni in tutto il mondo, rappresenta una vera rivoluzione nella pratica della diplomazia. Benché ormai da anni il digitale abbia trasformato radicalmente il modo in cui gli individui interagiscono nelle loro relazioni sociali, è da poco tempo che il digitale sta realizzando il proprio potenziale nel trasformare le relazioni internazionali.

In particolare, l'adozione di piattaforme di social media da parte dei Ministeri degli Esteri ha notevolmente cambiato il modo in cui la Diplomazia gestisce le informazioni, la gestione delle crisi e dei negoziati e complessivamente le strategie di Public Diplomacy in un quadro globale in cui i nuovi soggetti non governativi svolgono un crescente ruolo di influenza. L'incontro ha analizzato queste nuove dinamiche, gli sviluppi, e le tendenze grazie alla presenza di esperti accademici, attori chiave del mondo dei Social Media e professionisti della Diplomazia Digitale.

«Come alcuni studiosi anglosassoni sostengono, la Webcraft è la politica estera del XXI secolo che sta sostituendo la Statecraft e il mondo tradizionale della diplomazia, affermando un complesso di nuovi soggetti: network, alleanze, Ong, città, territori, fondazioni, università, chiese e persino individui che lavorano parallelamente o talvolta in opposizione ai governi nazionali - ha dichiarato Federica Olivares (nella foto), direttrice del master in Cultural Diplomacy. Arts and media for international relations and global communications nel saluto introduttivo -. Di conseguenza, politologi e studiosi di politica internazionale parlano sempre più spesso di “fine dell’ordine liberale internazionale” ossia di quel complesso di istituzioni internazionali create alla fine della Seconda Guerra Mondiale (Onu, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Wto, Ocse) mentre si assiste al moltiplicarsi di una pletora di attori globali che non sempre è chiaro chi e cosa rappresentino davvero».

La docente ha anche sottolineato che «con l’infittirsi sul Web di iniziative di portata diplomatica da parte di soggetti che non hanno titolarità di rappresentanza, il rischio è che si determini una sorta di “populismo digitale” che può produrre fenomeni di natura non democratica, di cui le fake news e tutto il “dark side” della Digital Diplomacy sono tra gli aspetti più evidenti ed inquietanti. Da sempre l’arte della politica estera ha significato creare e gestire relazioni, ma oggi davanti al nuovo macro fenomeno rappresentato da pervasive piattaforme globali di social media, quest’arte ha a disposizione nuovi potenti strumenti globali: dai 2 miliardi di utenti attivi su Facebook in tutto il mondo ai 330 milioni di utenti attivi su Twitter. Di conseguenza, anche le pratiche della diplomazia e della politica internazionale hanno dovuto aggiornare i propri strumenti».