“Quando due elefanti lottano, è l’erba che soffre!” Il proverbio senegalese ben descrive la situazione del popolo siriano preda dal 2012 di una guerra civile che devasta il paese. Dall’inizio il conflitto ha causato oltre 190.000 vittime di cui 12.000 minori. E non ha fine l’esodo di uomini, donne e bambini che continuano a fuggire dal proprio Paese nella speranza di poter avere un futuro.

Milano si è preparata, secondo una lunga tradizione di accoglienza che trova le sue radici nei Martinitt e nell’esperienza di don Gnocchi, e accompagna le famiglie in arrivo alla stazione Centrale e in transito, prevalentemente verso il nord Europa, in due case per il loro breve soggiorno temporaneo.

Il progetto “In viaggio verso il futuro”, promosso da L’Albero della vita insieme all’Università Cattolica e con il patrocinio del Comune di Milano, comprende due luoghi di accoglienza messi a disposizione dalla Fondazione Progetto Arca e dalla Cooperativa Farsi Prossimo in via Aldini e in via Salerio. Fino ad oggi circa 20.000 profughi sono stati accolti a Milano (di cui il 30% sono bambini) e 50.000 in un anno e mezzo.

Proprio con i bambini siriani l’Unità di ricerca sulla resilienza del dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica, guidata dalla psicologa Cristina Castelli e dal suo staff, sta lavorando per far scoprire loro la resilienza, la capacità di superare il trauma conseguente a tragedie come lutti, guerre, catastrofi, violenze, gravi emarginazioni sociali, povertà, abbandono.

«Il nostro obiettivo è quello di chiudere le ferite sanguinanti finché si rimarginano, attraverso il lavoro di resilienza. Ciò che resta è la cicatrice come segno della memoria che l’evento traumatico è stato superato» - dice Cristina Castelli. Il caso di questi bambini è particolare perché, oltre al trauma di aver visto con i propri occhi la guerra e magari aver perso qualche persona cara, hanno affrontato un lungo viaggio in condizioni molto disagiate. Il compito attuato con successo dagli psicologi della Cattolica è stato quello di supportarli attraverso laboratori ludico-espressivi per consentire loro di esprimere il dramma, di raccontarlo ma anche di manifestare ricordi positivi da un lato e sogni e desideri per il futuro dall’altro.

L’équipe della Cattolica ha realizzato uno studio tra giugno e ottobre 2014 su 271 bambini profughi siriani di età compresa tra i 6 e i 14 anni, ospiti presso i due centri di accoglienza milanesi, con un approccio metodologico multi-metodo. Gli strumenti quantitativi utilizzati sono stati una scheda socio-demografica, un questionario per misurare l’esposizione del bambino alla guerra, alla violenza e alla migrazione forzata, una check-list per valutare la presenza di sintomi di stress post-traumatico in bambini e adolescenti, un questionario per indagare il disfunzionamento sociale del bambino e una scala quantitativa per analizzare la resilienza nel minore.

L’indagine qualitativa è stata realizzata attraverso i laboratori, quali strumenti di lavoro per identificare i fattori di rischio e i fattori protettivi caratteristici dei bambini vittime di guerre, violenza e migrazione forzata, con particolare interesse rivolto al tema delle emozioni e all’elaborazione del trauma.

In particolare la ricerca ha evidenziato come i minori esposti a molteplici eventi traumatici presentano un’occorrenza maggiore di sintomatologia post-traumatica ed elevate difficoltà comportamentali e sociali.

«Emergono dati interessanti dai risultati della ricerca - dice Alessandra Cipolla che ha svolto la tesi di laurea su questo studio. Il “trauma in transito” può provocare disturbi mentali e disturbi post traumatici da stress che attraverso la resilienza si possono curare. Il lavoro svolto nei centri di accoglienza ha investito sui legami familiari che rappresentano un fattore protettivo per il bambino, sulle relazioni di gruppo per confrontarsi, e sulla capacità di mentalizzazione con cui dare senso alle esperienze traumatiche passate. Sono stati utilizzati diversi strumenti con i bambini per far emergere i fattori protettivi significativi della propria vita e i fattori di rischio che spaventano, le risorse interne ed esterne a cui ci si può appellare per superare le difficoltà (i principali sono la famiglia, la fede, speranze concrete come ad esempio il desiderio di tornare tra i banchi di scuola), i ricordi positivi e negativi».

Le risorse dei bambini sono sorprendenti e rivelano la capacità di percepire la vicinanza e l’aiuto dell’altro, oltre che di sapersi muovere in diversi contesti sociali. Il luogo sicuro, se pure temporaneo, il momento di stop e di tregua rispetto alle fatiche affrontate hanno rappresentato, insieme alle attività di gioco e di ascolto un’opportunità unica per ricostituire un’idea buona e positiva del futuro. Lo testimonia il “baule dei desideri”, posizionato nel centro di accoglienza che contiene tutti i desideri concreti dei bambini, di quelli che sono già andati via, di quelli presenti e di quelli che verranno, un segno della possibilità di ricostruire la propria persona e di vedere un futuro migliore davanti a sé.