di Claudio Lucifora *

Claudio LuciforaI dati relativi alla disoccupazione giovanile riguardano solo una quota esigua di giovani (in Italia e nella Ue-27 circa il 7%, rispetto alla coorte di riferimento), cioè solo quelli che transitano nel mercato del lavoro, visto che molti sono ancora impegnati in percorsi di istruzione e formazione. Diventa quindi rilevante estendere l’analisi della condizione giovanile ai cosiddetti neet (Not in Employment, Education, or Training), che interessa non solo tutti quei giovani che sono alla ricerca di un lavoro (e non studiano), ma anche gli inattivi che non risultano impegnati in alcuna attività, spesso scoraggiati dalle incerte prospettive occupazionali. Questo fenomeno è ben più rilevante sia dal punto di vista “qualitativo”, per le oggettive difficoltà di reinserimento di questi giovani nel circuito formativo e occupazionale; sia da quello “quantitativo”, visto che negli anni recenti, soprattutto in Italia, ha raggiunto dimensioni preoccupanti con tassi superiori al 20%, ben più elevati della media europea pari al 12% nella Ue-27.

È a questi giovani, che rappresentano l’anello debole della struttura socio-economica dei Paesi europei, che devono essere rivolte le politiche del lavoro e di inclusione sociale, gli interventi formativi e tutte quelle azioni “attive” dirette a potenziare l’occupabilità dei giovani. Nel dibattito politico-economico viene data grande enfasi alla necessità di attuare riforme del mercato del lavoro per renderlo più efficiente e più flessibile alle esigenze delle imprese e della concorrenza internazionale; tuttavia non meno necessarie e urgenti sono le misure di breve periodo dirette a invertire il trend della disoccupazione giovanile, che non possono semplicemente attendere la ripresa della crescita mondiale o fare affidamento sul dinamismo delle imprese che esportano.

In altre parole, quali azioni di lungo periodo sono necessarie per rendere più funzionale il mercato del lavoro alla difficile transizione scuola-lavoro dei giovani (e non), e quali strategie di breve periodo è invece necessario mettere in campo per ridurre il costo economico e sociale che grava sulla generazione di giovani che si affaccia ora sul mercato del lavoro?

Azioni di lungo periodo. È urgente una riforma del collocamento al lavoro, senza la quale qualsiasi risorsa destinata a risolvere il problema della disoccupazione giovanile rischia di andare dispersa. Attualmente meno del 3% delle assunzioni passa per le agenzie del lavoro preposte allo scopo. Le esperienze internazionali (ad esempio “Job Centre Plus” nel Regno Unito e “Jobcentre” in Olanda) mostrano che per rendere efficace l’azione dei centri per l’impiego è necessario che all’azione pubblica si affianchi una rete di agenzie di collocamento private.

Al pubblico dovrebbe essere affidato il compito di regolamentare le azioni per l’avviamento e la formazione dei lavoratori fornite dalle agenzie private. Il pubblico dovrebbe anche provvedere al profiling dei candidati e, sulla base di questo, stabilire dei costi standard da riconoscere alle agenzie del settore privato (ma solo sulla base di esiti occupazionali positivi e duraturi, 6-12 mesi). La creazione di una cabina di regia presso il ministero del Lavoro dovrebbe garantire il coordinamento degli interventi delle Regioni e uniformare i criteri a cui le stesse Regioni devono attenersi per l’utilizzo delle risorse. Infine, l’efficienza e l’efficacia degli interventi dei centri dell’impiego (pubblici o privati) passa necessariamente per l’informatizzazione totale e innovativa delle attività dei centri dell’impiego, ottenuta interfacciando i giovani disoccupati con il mondo delle imprese.

È necessario semplificare le fattispecie contrattuali introducendo un contratto unico per facilitare l’ingresso dei giovani sul mercato del lavoro e promuovere la trasformazione dei contratti a tempo determinato (TD) in occupazione stabile a tempo indeterminato (TI). Tuttavia, il contratto unico, oltre a inserire il giovane in un percorso di garanzie e tutele progressive, dovrebbe essere conveniente per le imprese. Finché il costo implicito dei contratti a TD sarà inferiore a quello dei contratti a TI le imprese non troveranno conveniente assumere i giovani a tempo indeterminato.

Va infine colmato il grave squilibrio negli interventi formativi. A fronte di un significativo sforzo normativo ed economico degli ultimi decenni non si è registrato un sensibile miglioramento negli esiti formativi dei giovani, soprattutto delle fasce più svantaggiate. Per i giovani lavoratori è necessario prevedere degli interventi ad hoc e mirati, che garantiscano maggiore qualità degli interventi formativi e maggiore portabilità delle conoscenze acquisite. Un esempio è costituito dagli Individual Learning Account (Ila), già utilizzati in vari Paesi europei e oggetto di recente sperimentazione in alcune Regioni italiane (Toscana e Umbria) per finanziare la formazione continua individuale per lavoratori con contratti di lavoro “non-standard” (e disoccupati).

Azioni di breve periodo. Oltre alle inevitabili misure di rilancio del sistema produttivo e della domanda, sono necessarie misure urgenti di attivazione e sostegno ai giovani disoccupati attraverso una molteplicità di azioni da mettere in atto attraverso la “Garanzia giovani”. Il percorso di accompagnamento previsto nella “Garanzia giovani” dovrebbe mettere in condizione ogni giovane alla ricerca di un lavoro di ricevere un’offerta o un periodo di formazione professionale riducendo così il tasso di dispersione e la dipendenza dei giovani dai sussidi. Dal lato delle imprese sono necessari interventi diretti a ridurre, almeno in parte, il costo del lavoro (dei giovani).

Anche in questo caso è possibile contare su qualche esperienza positiva di politiche del lavoro implementate in Italia e in altri Paesi. Il programma francese di sussidi alla creazione di occupazione, denominato “Zéro Charges”, è stato disegnato per le imprese con meno di 10 addetti e per i lavoratori con basse remunerazioni (inferiori a 1,6 volte il salario minimo legale) che sono principalmente giovani. Il programma ha consentito un significativo incremento occupazionale (netto) nelle imprese obiettivo del programma, senza determinare forti effetti-spreco (sussidiare posti di lavoro che sarebbero stati creati comunque), o effetti di sostituzione tra lavoratori (occupazione di giovani disoccupati a spese di lavoratori già occupati per i quali il costo del lavoro è superiore).

In Italia un intervento simile (D.M. 5/10/2012) ha interessato l’erogazione di sussidi per la conversione di contratti TD con contratti TI. Il provvedimento, diretto principalmente ai giovani lavoratori con meno di 29 anni, consentiva alle imprese di presentare domanda (accolta sino a capienza per un ammontare esiguo di risorse) per ricevere sussidi alla stabilizzazione dei lavoratori con contratti TD. Il provvedimento, nelle imprese destinatarie del sussidio, ha determinato un incremento dell’83% del tasso di conversione dei contratti TD rispetto al controfattuale, e non ha sortito effetti di spiazzamento o sostituzione intertemporale di occupazione.

* docente di Economia politica alla facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore dove insegna anche Labour Economics, presidente Associazione italiana economisti del lavoro (Aiel). Stralcio del Focus pubblicato nel numero 4/2014 (luglio-agosto) della rivista «Vita e Pensiero».