"Acqua che mangiamo". Un'espressione alquanto strana. Non siamo forse abituati a sentir dire che l'acqua si beve? Eppure l’affermazione si può dimostrare. Come ha fatto Francesca Greco, autrice del libro (con Marta Antonelli) "L'acqua che mangiamo. Cos'è l'acqua virtuale e come la consumiamo", ospite di CaffExpò nella sede di Cremona lo scorso 16 Ottobre 2013 nello splendido Museo del Violino. Ad intervistarla, la dottoranda di Agrisystem Chiara Corbo. Insieme a loro, la professoressa Lucrezia Lamastra della sede di Piacenza, che all'interno del libro ha curato un capitolo riguardante l'impronta idrica del vino italiano.

Ma cos’è l'acqua virtuale? Ogni bene necessita di un certo quantitativo di acqua per essere prodotto, trasformato, distribuito. In ognuna di queste fasi, la risorsa ricopre un ruolo fondamentale come input di produzione, sia diretto che indiretto (destinato, cioè, a un uso finale o intermedio). Possiamo dunque affermare che ogni prodotto contiene un certo quantitativo di acqua "nascosto", che va al di là di quella fisicamente contenuta. Per fare qualche esempio: in una mela ve ne sono 70 litri, in una tazzina di caffè 140, 185 in un pacchetto di patatine e, addirittura, 2.400 in un hamburger.

Il concetto dell'acqua virtuale è stato introdotto per la prima volta da Tony Allan del King's College di Londra, quando ci si è resi conto che, soprattutto nei Paesi del Medio Oriente, ci sono guerre per il petrolio ma non per l'acqua. Come mai, visto che questi luoghi sono noti per la scarsità della risorsa? Il professore inglese ha trovato la risposta proprio nel concetto di acqua virtuale: non ci sono conflitti per l'acqua semplicemente perché viene scambiata e commercializzata in maniera nascosta, attraverso i cibi. Da qui si comprende, dunque, che il concetto di acqua virtuale ha innanzitutto un fortissima valenza politica e sociale; e perché possiamo dire che l'Italia è il terzo Paese importatore di acqua virtuale nel mondo, nonostante non figuri nella lista dei Paesi aridi.

La professoressa Lamastra ha poi spiegato ancora meglio cosa significhi impronta idrica con un esempio pratico - il vino italiano - e del perché parliamo di acqua verde, blu e grigia. L'acqua verde è il quantitativo di acqua piovana utilizzata dalla coltura per evapo-traspirare e assume grande rilevanza per i prodotti agricoli. L'acqua blu è l'acqua dolce sottratta a un bacino idrico che non viene reimmessa nello stesso sito da cui è stata prelevata, oppure vi ritorna ma in tempi diversi. E, infine, l'acqua grigia: esprime il volume "immaginario" di acqua necessario per diluire la contaminazione eventualmente prodotta al di sotto di determinati livelli soglia legali e/o tossicologici. La somma di tali "acque" compone l'impronta idrica di un prodotto; ben si comprende, tuttavia, che le impronte non sono tutte uguali, non solo in termini numerici, ma proprio perché va analizzata nello specifico la tipologia di "acqua" che compone l'impronta stessa.

Il concetto di acqua virtuale ci permette anche di valutare la nostra alimentazione da un punto di vista completamente nuovo. Secondo le stime, infatti, ogni giorno consumiamo 3.800 litri di acqua dolce; di questi, il 4% sono dedicati all' uso domestico, un altro 4% è contenuto nei prodotti di uso quotidiano e, ben il 92%, nel cibo che mangiamo. Come consumatori, dunque, attraverso il nostro stile di vita e le nostre abitudini alimentari, siamo responsabili dell’impatto sulla risorsa, e per ridurla possiamo agire su diversi fronti, ad esempio attraverso la tipologia e la qualità del cibo che consumiamo, ma anche riducendo il più possibile gli sprechi, dato che ogni volta che un cibo finisce nella pattumiera, con esso stiamo buttando via le risorse utilizzate per produrlo.

Il 16 Ottobre - data in cui si è tenuto l'evento CaffExpò - era proprio il giorno dedicato dalla Fao al Word Food Day, la Giornata Mondiale dell'Alimentazione, dal tema "Sistemi alimentari sostenibili per la sicurezza alimentare e la nutrizione". E dunque la riflessione finale è stata dedicata proprio al ruolo dell'acqua, che è parte integrante della filiera alimentare. Soltanto attraverso un uso sostenibile della risorsa idrica lungo tutta la filiera - dal produttore al consumatore - sarà possibile realizzare sistemi alimentari davvero sostenibili, in termini non solo ambientali ma anche e soprattutto sociali e politici.