Antonio Leone (a sinistra) con Regina José Galindo e Diego Sileo«Costituire la mia start up culturale è stato quasi un passo obbligato per coordinare la mostra che avevo ideato su Regina José Galindo, tra le più importanti artiste contemporanee e performer internazionali, vincitrice del Leone d'Oro alla 51esima Biennale di Venezia come migliore giovane artista». Antonio Leone (a sinistra nella foto con Regina José Galindo e Diego Sileo), alumnus di Almed, master in Progettare Cultura, ha fondato la nuova impresa culturale ruber.contemporanea quasi spinto dal desiderio di dare corpo al progetto che doveva realizzare. «Avevo la necessità di gestire in modo formalizzato tutti gli aspetti logistici e organizzativi», racconta.

«La cosa interessante è che attorno al nucleo di persone che adesso costituiscono la mia start up (oltre me due storiche dell'arte e curatrici) abbiamo cooptato una serie di figure professionali con un profilo specialistico in grado di poter sostenere e provvedere a tutti gli aspetti logistici e funzionali relativi all'organizzazione di una mostra. Una sorta di staff museale autonomo: dalla persona che si occupa del condition report, all'allestitore, agli esecutivi, fino ai responsabili della didattica».

Nell’organizzazione di una mostra, uno staff a supporto è un dato abbastanza comune… «Può sembrare ovvio e scontato ma di fatto, quantomeno al sud - la mia società opera in Sicilia - non lo è. Molte strutture museali per esempio non prevedono al loro interno nessuna di queste figure. Nel nostro caso specifico, lavorando all'interno di uno spazio comunale non ancora formalizzato, Zac/Ai Cantieri Culturali alla Zisa, e quindi in buona sostanza solo un contenitore vuoto, abbiamo dovuto necessariamente reclutare tutte le figure professionali di cui sopra. Il fatto di poter disporre di uno staff completo e competente in grado di gestire tutte le fasi progettuali ed esecutive, si è alla fine rivelato il vero valore aggiunto».

Quali difficoltà e opportunità hai trovato in questa avventura? Sei partito dal Sud… «In Italia continua a essere complesso far riconoscere il valore - anche economico - del lavoro intellettuale e le professioni della cultura sono spesso limitate. Questo limita l’investimento di risorse in una proposta internazionale legata al contemporaneo. Eppure, tutto ciò può permettere di realizzare, quando si riesce, un lavoro incisivo, dove la qualità della proposta può lasciare un segno permanente nei luoghi e nella storia. Per me è essenziale pensare all'arte e alla cultura come sostanza e cercare di individuare la forma e il modo migliore per permetterne la fruizione».

Un punto di forza? «Come ho potuto verificare direttamente grazie alla mia recente esperienza, ritengo utile la collaborazione fra enti e istituzioni culturali diversi. Il progetto su Regina Josè Galindo si è potuto realizzare grazie alla collaborazione e partnership con il Pac di Milano che ha permesso sia di contenere i costi che di lavorare in modo più snello. Coproduzioni, partnership collaborazioni fra enti diversi all’estero sono nella norma, mentre da noi mancano ancora figure professionali specifiche, come quella del facilitatore che possa permettere il dialogo fra soggetti diversi. Ed è proprio uno dei ruoli che ho ricoperto nella costruzione di questo progetto».

Che competenze e conoscenze ti ha fornito il master? «È stato molto utile nel dotarmi in modo equilibrato e competente di uno sguardo completo su tutti gli aspetti legati alla dimensione del lavoro culturale, soprattutto in ambito ideativo e organizzativo. Senza pretese di esaustività, ha il merito di inquadrare in modo sistematico e chiaro tutti gli aspetti fondanti dell'intera filiera della produzione culturale».

Prospettive per il futuro? «Dalle mie esperienze ho capito che è più facile e probabilmente interessante avviare rapporti di collaborazione con organizzazioni estere alle quali proporre investimenti culturali su territori diversi. Ambasciate, istituti di cultura e fondazioni straniere che intendono promuovere sia il loro sistema Paese che aspetti specifici della loro cultura in altri contesti. Questo tipo di investimento ha una forte ricaduta sia dal punto di vista turistico che in relazione alla reputation stessa dei Paesi investitori. Sono aspetti interessanti di strategie di cultural planning molto comuni sia in Europa che negli Stati Uniti».

A cosa stai lavorando ora? «Sto curando una mostra, una personale di un'artista spagnolo, Alvaro Laiz, finanziata quasi per intero dal dipartimento culturale dell'Ambasciata di Spagna in Italia. I canali che stiamo tentando di percorrere sono questi. Credo che sia necessario essere vigili e curiosi, non limitarsi alla propria posizione geografica o alle proprie conoscenze, ma tentare di entrare in contatto con tutto e tutti. Oggi i social network e il web ci permettono di dialogare con il mondo intero. Una potenzialità che dobbiamo sfruttare».