Che il mondo del lavoro stia cambiando a grande velocità è cosa nota. Meno chiaro in che direzione vada. Per questo 177 esperti si sono dati appuntamento dal 19 al 21 marzo all’Università Cattolica a Milano per iniziativa della International Sociological Association alla conferenza “Professions, Bonds and Boundaries”.

All’appuntamento saranno presenti accademici in arrivo da ogni parte del mondo, dal Cile, al Sudafrica e alle Filippine. Il tema, trattato in diversi panel tematici, sarà il mercato del lavoro, declinato in aspetti come la liberalizzazione degli impieghi o le nuove forme di inquadramento professionale.

La parola chiave sarà invece “boundary work”, termine che include tutte le forme di lavoro che si trovano sul confine. Perché il lavoro, al giorno d’oggi, è sempre più difficile da incasellare in spazi delimitati. «Per esempio - afferma Ivana Pais (nella foto sotto), docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro alla Cattolica e organizzatrice dell’evento - cade il limite fra lavoro e hobby».

«Si inizia per passione a intraprendere un’attività, la si affianca per un periodo di tempo al proprio lavoro e poi la si trasforma, gradualmente, nella propria professione. Un valido esempio è quello dei cosiddetti “food blogger”, persone che hanno trasformato la propria passione per la cucina in una fonte di guadagno. Cominciano postando in rete le foto dei loro piatti e scrivendo ricette originali, se hanno un largo seguito danno vita a un business che permette loro di dedicarsi completamente a ciò che amano».

Una bella trovata per unire l’utile al dilettevole, ma più spesso l’utile all’utile, come nel caso delle mamme che per necessità trasformano la propria cucina in un ristorante permanente. Percorso simile per i fashion blogger, scrittori più o meno improvvisati di moda sempre più noti sui social network. Proprio il boom delle reti sociali ha introdotto interessanti novità nel mercato del lavoro: «I social scardinano i sistemi tradizionali di ricerca della clientela: un avvocato divorzista di Vicenza, per esempio, ha allargato il suo giro pubblicando video promozionali e puntando su un approccio informale ai suoi potenziali assistiti».

Un altro muro che si sgretola progressivamente e che sarà forse destinato a cadere è quello della separazione fra professionisti e amatori di un mestiere. Capita che in alcuni settori si faccia largo la figura del “proam” che, senza aver seguito un percorso formativo ad hoc, offre un servizio analogo agli esperti del campo. «Non sempre è facile separare in maniera netta le prestazioni di un fisioterapista, da quelle di un massaggiatore. Il secondo non dispone di un riconoscimento ufficiale, ma spesso grazie ad anni di esperienza sul campo attrae ugualmente il consumatore».

Certo questa tendenza difficilmente può prendere piede in settori dove l’accesso alla professione è lineare e, soprattutto, è impossibile offrire un servizio analogo senza rientrare in un ordine professionale. Medici e avvocati sembrano essere al sicuro, quindi, dalla concorrenza dei “proam”, ma non basta avere un Albo per includere i propri iscritti in un recinto protettivo.

I tassisti per esempio, che hanno pagato per la licenza, si sentono minacciati dagli autisti improvvisati di Uber, mentre i giornalisti, la cui competenza dovrebbe essere garantita dal superamento di un esame di Stato, si giocano le loro carte lavorative alla pari con chi scrive senza tesserino. Anzi, spesso subiscono la beffa di vedersi superati dai colleghi non professionisti che, per legge, possono firmare contratti più vantaggiosi per i loro datori di lavoro ed essere dunque più competitivi sul mercato.

Sempre restando nel mondo dell’informazione, prendono piede i cosiddetti “prosumer”, utenti che si svincolano dal rapporto passivo di ricettori di notizie, ma le rielaborano o utilizzano in altri formati, generando nuovi profitti.

«Ibridazione» è quindi il termine migliore, secondo Ivana Pais, per riassumere tutte le tendenze in corso a livello globale: «Questi cambiamenti aprono sicuramente nuovi orizzonti e possibilità, ma potrebbero produrre insicurezza, mandando in crisi l’identità professionale dei lavoratori. Il rischio investe soprattutto i giovani, che vedono intaccata la loro capacità progettuale e potrebbero, paradossalmente, abbandonarsi all’inerzia perché non sanno quale strada intraprendere».