Affrontare le problematiche legate alla tutela giuridica dell’ambiente sotto il profilo del diritto amministrativo e del diritto penale, nonché riflettendo sui possibili apporti provenienti dell’esperienza statunitense. È quanto ha tentato di fare la conferenza organizzata dal Centro studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp) e dalla Fondazione Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale (Cnpds), che si è tenuta all’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano il 16 giugno.

Il diritto ambientale è un diritto “giovane” – esordisce Joseph F. DiMento, professore alla School of Law (Department of Environmental Studies) della University of California (Irvine), attualmente Visiting Professor presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È solo a partire dagli anni Sessanta che l’uomo inizia a percepire l’impatto della propria presenza e delle proprie attività sull’ambiente. In questi cinquant’anni di diritto ambientale sono stati fatti progressi, alcune acque, ad esempio, sono tornate potabili o balneabili. Tuttavia, la strada da percorrere è ancora lunga e l’ipertrofia normativa cui si è di recente assistito, si pensi al grande numero di trattati e convenzioni (in parte inattuati), non sembra aver fornito strumenti adeguati a fronteggiare le immense sfide odierne, alcune delle quali in crescita, come l’allarmante cambiamento climatico cui stiamo andando incontro.

L’ordinamento statunitense reagisce alla violazione di norme poste a tutela dell’ambiente ora con sanzioni amministrative, ora con sanzioni penali. La previsione di un’azione penale da esercitare, previa valutazione di criteri tassativi, in relazione a condotte che aggrediscono l’ambiente – spiega David M. Uhlmann, professore presso la Law School della University of Michigan (dove tiene corsi di Advanced Environmental Law, Criminal Law, Environmental Crimes, Environmental Law and Policy) e a lungo prosecutor – è giustificata in quanto le offese all’ambiente, anche qualora non producano vittime concrete e individuali, colpiscono duramente la società. L’applicazione di sanzioni penali patrimoniali capaci di contrastare gli interessi in gioco e di evidenziare il disvalore delle condotte che violano norme in materia ambientale è opportuna a maggior ragione nei confronti delle corporations: d’altra parte, negli Stati Uniti i reati ambientali sono espressamente annoverati tra i reati societari.

Venendo alla situazione italiana, dall’analisi delle norme di diritto amministrativo poste a tutela dell’ambiente si evince un principio di “territorializzazione” della tutela dell’ambiente – afferma Pier Luigi Portaluri, professore di Diritto amministrativo all’Università del Salento – vale a dire che sono direttamente gli enti territoriali ad adottare misure di tutela, previa acquisizione di conoscenze tecnico-scientifiche sugli effettivi pericoli di danno. Lo strumento amministrativo più utilizzato in materia ambientale è quello dell’autorizzazione, che riflette una logica di incontro tra ‘regolatori e regolati’ in quanto lascia spazio alle iniziative private, salvo arrestare quelle attività che possano rivelarsi dannose.

Un principio che risulta di centrale rilevanza per la tutela dell’ambiente, ad avviso di Mauro Renna, professore di Diritto amministrativo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è il principio di precauzione, in forza del quale, in determinati ambiti, in presenza di situazioni di pericolo non certo ma possibile, il legislatore e la Pubblica Amministrazione devono intervenire, senza poter invocare l’incertezza del pericolo come “alibi”. Tale principio è stato di recente introdotto nel nostro ordinamento all’art. 3-ter del d.lgs. 152/2006 e opera non solo con riferimento ai provvedimenti generali e astratti, ma anche alle ordinanze contingibili e urgenti, attivando, tuttavia, una serie di questioni critiche rispetto all’ampio margine di intervento (in termini interdittivi, per esempio) riconosciuto in simile prospettiva.

Per quanto concerne l’ordinamento penale, la tutela dell’ambiente è stata apprestata dal legislatore attraverso reati contravvenzionali e di pericolo, soprattutto astratto, vale a dire attraverso forme di anticipazione della tutela penale basate sulla violazione di prescrizioni e limiti imposti ai singoli e alle società. Peraltro, anche fattispecie ulteriori e caratterizzate da un più pregnante disvalore vengono utilizzate per offrire tutela all’ambiente, in particolare si pensi al delitto di disastro di cui all’art. 434 c.p. e ai delitti volti a tutelare la purezza e salubrità di acque e alimenti, artt. 439 e 440 c.p., come sottolineato da Francesco D’Alessandro, professore di Diritto penale commerciale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

L’applicazione di queste ultime, tuttavia, crea notevoli problemi di effettività sia a livello di prevenzione generale sia a livello repressivo-sanzionatorio e lascia emergere non pochi problemi rispetto a principi fondamentali, quali il principio di offensività e il principio di uguaglianza, in quanto spesso nei processi che riguardano siffatte ipotesi delittuose il contributo di consulenti tecnici esperti (avvalersi delle cui competenze, evidentemente, richiede costi considerevoli) può avere un’influenza di non poco conto sul convincimento del giudicante.

I delitti di inquinamento ambientale, artt. 452-bis e 452-ter c.p. – di cui al disegno di legge, n. 134 del 2014, attualmente pendente in Parlamento, puniscono chi cagiona o fa persistere «il pericolo di un danno alla qualità dell’aria, dell’acqua, del suolo o del sottosuolo», con la previsione di aggravanti se dal fatto deriva effettivamente un danno a tali beni o il pericolo per la vita o l’incolumità delle persone o, ancora, la lesione o la morte di taluno, nonché, chi si associa al fine di commettere tali delitti.

Il notevole excursus edittale previsto da tali norme, da quattro a vent’anni, rischierebbe di rendere le nuove fattispecie (là dove introdotte nel sistema) vaghe e, di fatto, rimesse alla determinazione giurisprudenziale. Una soluzione a tale problematica potrebbe essere la previsione di un preventivo accertamento, in sede amministrativa, dell’effettivo raggiungimento della soglia di rilevanza penale, da condurre sulla base di criteri quali la ripetitività della condotta e la dimensione del danno prodotto, in modo che solo ‘la punta dell’iceberg’, ossia i fatti più gravi, siano affidati alla tutela penale.

Lo stesso professor Stella, cui è dedicato l’omonimo Centro studi, – sottolinea Gabrio Forti, preside della facoltà di Giurisprudenza e Professore di Diritto penale e Criminologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – ammoniva spesso i penalisti circa l’opportunità di sfruttare il «potenziale inutilizzato del diritto amministrativo». Sarebbero, ancora, auspicabili un coordinamento europeo dell’intervento amministrativo in materia ambientale e un’attenta riflessione sul modello statunitense, che manifesta una spiccata coerenza intrinseca e una notevole efficacia general-preventiva verso gli associati nonché di repressione degli autori di fatti penalmente rilevanti.