«La beatificazione di don Carlo Gnocchi è per l’Università Cattolica del Sacro Cuore motivo di gioia del tutto speciale. All’Ateneo dei cattolici italiani venne infatti concesso il privilegio di avere don Carlo fra gli assistenti spirituali dei suoi studenti». Con queste parole il rettore Lorenzo Ornaghi ha ricordato la figura di don Gnocchi, il “papà dei mutilatini” che sarà proclamato beato il 25 ottobre in piazza Duomo a Milano. Anche l’ateneo del Sacro Cuore, nell’ambito delle iniziative promosse per la beatificazione, ha voluto dedicare un incontro di studio alla vita e alla grande opera di carità di un uomo profondamente innamorato del proprio tempo al punto che «se avesse potuto scegliere gli anni in cui vivere e il campo dove lottare, avrebbe eletto il Novecento “senza un istante di esitazione». Amiamo di un amore geloso il nostro tempo”. Don Carlo Gnocchi e il Novecento: il titolo dell’incontro organizzato lo scorso 2 ottobre dall’Università Cattolica, in collaborazione con la Fondazione a lui dedicata. Sono intervenuti, tra gli altri, monsignor Angelo Bazzari, presidente della Fondazione don Carlo Gnocchi, Edoardo Bressan, dell’Università di Macerata, Stefano Baia Curioni, dell’Università Bocconi, Daniele Bardelli, dell’Università Cattolica, e monsignor Sergio Lanza, assistente ecclesiastico generale dell’ateneo. «Nell’Università fondata da padre Gemelli, don Carlo fu testimone di carità e fede negli anni del dopoguerra – ha continuato Ornaghi –, quando, tornato dall’esperienza tragica del secondo conflitto mondiale, egli già era impegnato con ogni sua forza nel trovare la strada affinché diventasse realtà il sogno che aveva accarezzato in quasi ognuna delle dolorose, interminabili giornate della campagna e della ritirata di Russia: il sogno di una “grande opera di carità”». Don Gnocchi assunse l’incarico di assistente ecclesiastico dell’Ateneo nel 1946, dopo essere stato, oltre che parroco, direttore spirituale degli allievi dell’Istituto Gonzaga, cappellano dei balilla e, poi, degli alpini.

C’erano elementi di un sentire comune che poteva fondare una cordiale e proficua intesa, fra il rettore dell’Università del Sacro Cuore e don Gnocchi», ha detto lo storico contemporaneo della Cattolica Daniele Bardelli, che al rapporto tra il sacerdote milanese e padre Gemelli ha dedicato l’articolo: Don Gnocchi e Gemelli, due visioni educative, pubblicato sul numero 4/2009 della rivista Vita e Pensiero.

Da sinistra: Stefano Baia Curioni, Lorenzo Ornaghi, monsignor Sergio Lanza, monsignor Angelo Bazzari, Edoardo Bressan, Daniele BardelliUna delle principali radici del comune sentire con padre Gemelli è proprio quell’amore per il Novecento secolo, definito dallo stesso don Gnocchi “così grande e così avvilito, così ricco e così disperato, così dinamico e così dolorante”. Fu per questo motivo, come ha osservato il rettore Ornaghi che «l’esigentissimo Rettore, convinto anch’egli che fosse indispensabile per un cristiano “guardare a questa nostra epoca con ammirazione e gratitudine”, volle don Carlo, a lui ben noto per gli scritti e per la fama di direttore spirituale, collaboratore nell’opera di formazione degli studenti dell’Ateneo dei cattolici italiani».

I due anni in Università Cattolica segnano un’ulteriore tappa, importante e assai significativa, nel percorso umano di don Carlo. È in questo periodo che si dischiude per lui la via degli anni a venire. Quando per primo avverte la difficile coesistenza dell’impegno in Università con quello richiesto dai piccoli mutilati, don Carlo esprime a Gemelli la propria determinazione a lasciare l’incarico. «Fu Gemelli, considerandone le “eccezionali qualità”, a pregarlo di continuare la sua collaborazione «fervida e volonterosa» - ha detto Bardelli - fino a quando dovette chiederne le dimissioni per garantire agli studenti la continuità nell’assistenza spirituale. L’irremovibilità ponderata di Gemelli nasceva tuttavia da presupposti che lo stesso don Gnocchi condivideva: l’assistenza agli studenti andava concepita “come una funzione parrocchiale”, e come tale richiedeva “completa dedizione”». Subito dopo le dimissioni, don Gnocchi si trovò a presiedere la nascente Federazione degli enti che si occupavano dei “mutilatini”, e a quest’opera il sacerdote ambrosiano dette la vita. «Portò in Italia per primo il concetto di riabilitazione, trasformando persone fino allora assistite nelle nicchie della società in cittadini attivi», ha detto monsignor Angelo Bazzari, sottolineando il ruolo di innovatore del sacerdote lombardo.

«Ancora oggi il ricordo di don Carlo Gnocchi – ha concluso Ornaghi - si fa tanto vivo e luminoso, quanto lo fu negli anni in cui, nelle aule e nei chiostri bramanteschi, la fede di molti giovani fu sostenuta e alimentata dalla sua determinazione non solo ad amare il proprio tempo, ma anche a cambiare in meglio il mondo, entrando “nel cuore della realtà”, come diceva padre Gemelli». «Prendere sul serio la realtà, così come fece don Gnocchi, significa amare il proprio tempo - ha concluso monsignor Sergio Lanza -. Un atteggiamento che rivela un umanesimo che riguarda la totalità della persona umana, in ogni sua dimensione. Un umanesimo che, per dirla con parole di Giovanni Paolo II, “si inscrive in quella testimonianza della carità divina che operando nel tempo si prepara all’eterno”».