di Antonio De Grandis *
Quando per l’ultima volta li ho guardati negli occhi, ho realizzato che cosa avessi fatto e quanto loro, nella loro semplicità, mi avessero dato in questa esperienza di volontariato. Forse mi hanno dato più di quanto io abbia dato loro. Già, i bambini. Dono per cui è essenziale aiutare e cooperare per la crescita di una società. Vivere lì, in una città come Gerusalemme non è affatto semplice.
Indubbiamente devi avere coraggio, coraggio di aprire la mente, il cuore e soprattutto coraggio di abbattere stereotipi, strutture mentali e culturali verso una realtà che può solo che far fiorire la tua anima. Fare volontariato vuol dire condividere tutto quello che hai: i tuoi pensieri, i tuoi modi di fare, le tue qualità.
Dallo stare con i bambini del Centro San Rachele tutto il giorno, mi sono ritrovato a ridipingere anche le loro aule oppure a cucinare per alcuni di loro che non potevano permettersi il pranzo. Perché se sei un volontario, sei parte attiva e dinamica nel contesto in cui ti trovi. Non ci sono mansioni specifiche e forse sono proprio quelle che ti formano davvero. Sei lì per loro, per gente come te, solo un po' più sfortunata. Vivendo luoghi ed esperienze di questo tipo aiuta a realizzare quanto sia stato bello nascere in una famiglia europea, italiana e di quanto possiamo essere fortunati di essere studenti di una delle università più prestigiose d’Italia.
Ma ancor più, capisci quanto possiamo dare, quanto possiamo fare, quanto possiamo essere parte attiva a livello internazionale. Essere sul posto, chiacchierare con la comunità ebraica in prossimità del Muro del Pianto, ridere e scherzare con i ragazzi dei quartieri palestinesi, fermarsi a riflettere guardando il Sacro Sepolcro sono tutte esperienze che non si possono studiare sui libri di scuola, bisogna viverle. Ma per farlo devi essere pronto, pronto a metterti in gioco. Quei bambini sono carichi di sogni, di voglia di vivere, di sorridere e combattere questa vita che già gli ha dato battaglia a questa tenera età.
Ed è proprio lì che dobbiamo agire, lì che dobbiamo sostenerli e aiutarli. Per scoprire quanto sono forti, integri e di quanto possiamo essere noi deboli e poco integri. L’integrità di una solida comunità cristiana che dobbiamo ritrovare. E allora senza paura. Gambe in spalle e senza pensarci tanto, di corsa a fare la valigia. Non dimenticarti il taccuino, la macchina fotografica e, soprattutto, il desiderio di vivere in profondità un’esperienza indimenticabile.
Ovvio, tutto ha un prezzo, vero. Andare via non è facile, ma non è impossibile. Ci saranno periodi bui, di sconforto e vedrai che quel nuovo presente che stai vivendo prenderà il sopravvento, temendo che gli altri a chilometri di distanza si siano dimenticati di te. Il tuo cuore dovrà fare spazio a cose nuove, a cose che potranno scombussolarti dentro come il vederti offrire un pezzo di pane da chi non lo mangiava da giorni, chi ti chiede di descriverti l’odore del mare o chi ti chiederà quando tornerai a giocare a pallone con loro. Ed è proprio quando ti stendi sul letto che la tua mente si inonda di pensieri, ti confonde e non sai più chi sei. Ed è vero quello che dicono i viaggiatori e i navigatori: più che muoverti verso una destinazione, vai verso un destino: il tuo. E non aver paura, il mondo ha bisogno di ognuno di noi e forse, proprio di te.
* Studente del corso di laurea in Healthcare Management, facoltà di Economia, campus di Roma