di Asya Tedeschi *
Sono trascorsi i giorni, ho sostenuto gli esami, preparato le valigie, salutato tutti e sono partita. Sono giunta a Valencia il 20 gennaio scorso e mi ha accolto una città di pace. Era un sabato e per strada c’erano poche persone, la città era piena di verde e aria pulita e c’era una temperatura estiva. La gente sorrideva, lo faceva sempre, anche quando salivi sul bus, l’autista accoglieva tutti con un “buenos días”, e a me inizialmente sembrava strano quella nube di “gioia” che copriva la città. Poi con il tempo e frequentando la gente del posto ho capito che è parte del loro spirito, del loro essere, del loro modo di affrontare la vita.
Inutile dire che tutto questo mi entusiasmava e mi motivava un sacco a conoscere sempre più persone e aspetti di quella realtà. Ammetto che per molti versi ho ritrovato negli spagnoli caratteristiche simili a quegli degli italiani:
Valori come, l’importanza della famiglia, degli amici, l’attenzione alla cura della comunità, la cultura del cibo, la gentilezza e l’ospitalità, tipici anche di noi italiani, sono amplificati in una cittadina come Valencia. Essendo così piccola era facile per il barista dell’Università ricordarsi del tuo nome e chiederti come stessero andando gli esami, era possibile che una professoressa si fermasse a prendere un caffè con alcune studentesse e non era difficile organizzarsi in gruppo per lavorare a un progetto, davanti a una limonata sotto al gazebo.
Ma la cosa più bella dell’esperienza Erasmus è che si tratta un mondo in miniatura. Ti svegli, monti in bici, vai a lezione ed è probabile che in aula tu possa incontrare un nuovo arrivato, magari dall’altra parte del mondo, e fermarti a chiacchierare con lui, conoscerlo e discutere del più e del meno come se niente fosse, come se quei km di distanza non fossero mai esistiti. L’Erasmus è magico da questo punto di vista; ha il potere di unire le persone più diverse e di annullare ogni timore.
Non voglio negare l’esistenza delle difficoltà; ci sono momenti in cui vorresti avere affianco i tuoi cari e devi accontentarti di una video call, ci sono i momenti in cui resti chiuso in stanza perché per una sera non vuoi spremerti le meningi a pensare a come si dice in spagnolo un termine, ci sono i momenti in cui ti sentirai estraneo, soprattutto all’inizio, in cui, magari, rimpiangerai l’organizzazione della tua università o semplicemente il profumo della tua casa. Ma sapete qual è il bello? Che tutto questo fa parte del gioco, è la conditio sine qua non, per tornare a casa, alla fine, davvero soddisfatti.
L’Erasmus, collegando così tante persone, valorizza le differenze. Se io e la mia amica tedesca ci siamo conosciute e abbiamo instaurato un’amicizia così forte, forse è proprio grazie alla voglia di mettere in comune e far fruttare quello che di diverso c’è tra noi. Le differenze ci arricchiscono; io italiana non sono in tutto e per tutto uguale al mio coinquilino belga Nathaniel, né allo sloveno Žiga o al colombiano Santiago, né alla mia amica di corso messicana Ignacia, e potrei andare avanti per ore. Siamo tutti diversi, abbiamo culture diverse, valori diversi, modi di fare e di vivere diversi, ma questo non è un pregiudizio né un giudizio negativo. Questa è la realtà ed è l’unico aspetto che la rende così intrigante e misteriosa. La diversità è bellezza, ma lo può essere solo se da parte di tutti ci sono rispetto e la volontà di riconoscersi diverso, non appiattirsi ai luoghi comuni, ed arricchire/arricchirsi con gli altri e negli altri.
La mia parola d’ordine in questo viaggio è stata “sorpresa”. Mi sono lasciata sorprendere da tutto; da me, che per la prima volta ho trovato il coraggio di fare un’esposizione davanti a una platea, dal mio primo corso di scherma, da una passeggiata in riva al mare o per il parco, da un coinquilino colombiano o dalle amiche messicane che mi raccontavano la loro vita nei loro paesi, da una cena internazionale un venerdì sera...
Ho vissuto tutto con lo spirito di una bambina, quello spirito che qui a Milano, correndo tra mille impegni, corsi, esami e ritmi nevrotici, non ero più in grado di sentire. Per una volta, mi sono fermata, e mi sono presa la libertà di godere di ogni istante. È anche per questo motivo che ho deciso, dal primo giorno a Valencia, di condividere quotidianamente su Instagram una foto rappresentativa della giornata, e di raccontare il mio “Día”. Ho raccontato di tutto, delle cose belle, dei posti visitati, della gente conosciuta, delle cadute prese, delle corse fatte, delle volte che ho riso, che ho pianto e che mi sono arrabbiata. Ho cercato di condividere con tutti la mia esperienza e di renderli partecipi della mia storia.
L’ho fatto per mostrare al mondo quanto sia arricchente questa esperienza, quanto ti permetta di crescere a 360°, dal punto di vista professionale e personale, e quanto sia importante mettersi alla prova, sempre, in ogni fase della vita.
* 24 anni, di Peschici (Fg), studentessa del corso di laurea magistrale in Psicologia per le organizzazioni: risorse umane, marketing e comunicazione, facoltà di Psicologia, campus di Milano