di Alessandra De Poli *
L’idea di partire per il Middle East Community Program (Mecp) mi è venuta dopo aver parlato con una ragazza che era stata in Terra Santa l’anno precedente. All’inizio ero un po’ titubante, non sapevo bene cosa aspettarmi. Non avevo mai viaggiato in Medio Oriente e il programma del Mecp si presentava fin da subito come molto serrato. Quando poi sono partita, non mi sarei mai aspettata che l’esperienza sarebbe stata così emozionante.
Il nostro gruppo era composto da sette studenti di diverse età e diversi background, ma abbiamo legato fin da subito (nella foto sotto). Abbiamo alloggiato tutti insieme a Betlemme, che nei 17 giorni di programma è diventato il nostro campo base, ma anche un po’ la nostra casa, dato che ci accoglieva una famiglia palestinese.
Da Betlemme siamo partiti quasi ogni mattina per fare degli incontri o per visitate luoghi di particolare interesse storico-politico: Gerusalemme, Hebron, Gerico, Nazareth, Betania, Tel Aviv. Le testimonianze sono state invece quelle di professori o persone dai background più disparati: dal soldato israeliano, allo studioso di storia palestinese, dal frate della Custodia di Terra Santa a Gerusalemme, all’esperta di relazioni ebraico-cristiane, dai giovani ragazzi arabo-cristiani, a Daoud Nassar alla Tenda delle Nazioni, dal console italiano a Gerusalemme, ai carabinieri della Temporary International Presence in Hebron.
Non sono mancate le visite alle realtà sociali e ai progetti di Ats Pro Terra Sancta, che si estendo in tutto il territorio sia palestinese che israeliano, e si occupano di categorie di persone diverse (bambini disabili, anziani, giovani studenti arabo cristiani…).
La cosa più bella del Mecp è la confusione che ti crea in testa. Uno parte per la Terra Santa (Israele, Palestina, territori occupati, che nome si deve usare?) credendo di sapere già qualcosa sulla realtà della regione e sul conflitto israelo-palestinese, ma una volta lì si rende conto che non esiste una verità assoluta. Esistono solo tante narrative diverse (tutte vere), che contribuiscono a creare un universo a sé, un po’ magico e un po’ tenebroso, ma soprattutto complesso.
Perché passare da Betlemme a Tel Aviv crea un certo shock, così come camminare nella Città Vecchia di Gerusalemme e poi prendere il tram in Città Nuova e arrivare fino al museo Yad Vashem dedicato alla Shoah. Mentre vedere il muro che fagocita i villaggi palestinesi e passare a piedi attraverso i checkpoint crea un po’ di timore e un po’ di rabbia, un po’ di tristezza e un po’ di eccitazione.
Durante tutto il nostro programma ci siamo messi in discussione ogni giorno, aggiungendo un piccolo tassello di mosaico alla nostra narrativa personale, con il fine di portarci a casa il mosaico più grande e più variegato di tutti: quello di aver fatto un viaggio magico e indimenticabile in un luogo ricco di storia, di santità e di colori, profumi e volti che si possono trovare solo in Terra Santa.
* 22 anni, di Pove del Grappa, laureata triennale in Lingue per le relazioni internazionali, facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere, studentessa del corso di laurea magistrale in Politiche europee e internazionali, facoltà di Scienze politiche e sociali