di Veronica Corbellini *
Sono state settimane impegnative. Spesso sono tornata a casa piangendo dall’orfanotrofio in cui ho svolto il mio International Volunteering in India. Questa povertà ti entra nelle ossa, nel cuore, la vedi riflessa negli occhi dei bambini tutti i giorni. Ricordo ancora quel giorno in cui una bambina di probabilmente 4 o 5 anni, sporca e piena di croste, con vestiti lacerati, bussò al finestrino della nostra macchina chiedendo soldi, qualcosa da mangiare, anche solo una bottiglietta d’acqua. Oppure un’altra bimba, poco più grande, che bussò alla macchina, chiedendo da mangiare per il proprio fratellino di qualche mese, che piangeva disperato in braccio a lei.
Nonostante tutto i bambini sorridono, ti accolgono a braccia aperte, sono ansiosi del tuo rientro. Ti allontani dall’orfanotrofio con i bambini che ti rincorrono e ti chiedono: “Tomorrow? Tomorrow meme?”; e tu a rispondere: “Kalemelenghe”. Vogliono essere sicuri che nonostante tutto, domani sarai ancora li domani per passare del tempo con loro. A insegnare loro i numeri, i colori, gli animali, i cibi, gli oggetti in inglese, a giocare con loro con le canzoncine in inglese, hindi, italiano, a disegnare con loro, a dedicare loro anche semplicemente del tempo. A cercare di imparare alcune parole in hindi e a imparare i numeri; così da poter fare altri giochi. E vedere la soddisfazione nei loro occhi nel momento in cui sei riuscito a ricordarti oppure a memorizzare nella giusta sequenza i numeri (ek, do, ti, chiar, pach, ce, sat, ar, no, das). Quello che chiedono è solamente che qualcuno voglia loro bene e non li dimentichi.
L’ultimo giorno di orfanotrofio abbiamo portato dei regali: palle, libri da colorare, un dizionario di parole, le carte di uno, delle macchinine, dinosauri, pennarelli e fogli da colorare. Abbiamo anche portato delle caramelle. I responsabili della struttura ci hanno rimproverato continuando a ripetere: “No big party, no big party; just food and toys”. Si stringeva il cuore nel momento alcuni bambini rifiutavano la caramella oppure la donavano a quelli più piccoli, oppure la dividevano in mini pezzettini per poterla condividere con gli amici più stretti, senza che gliela avessero chiesta.
Il 7 agosto si celebrava il Rakshabandhan, più semplicemente rakhi, il legame della protezione. In questa festa sorelle e fratelli si rincontrano nella propria casa di origine. Le sorelle legano al polso dei fratelli un bracciale con una preghiera per la sua felicità e prosperità. Il fratello fa un dono e promette di proteggerla. In questa giornata si festeggia l’amicizia e la fratellanza, che vale anche per tutti quei legami che sono simili a quello sorella-fratello, sia all’interno della famiglia ma con lontana parentela, sia, a volte, tra persone un aspetto biologico.
Per spiegare ai bambini il legame che comunque ci legava, abbiamo spiegato loro che noi saremmo stati per loro delle “didi”, cioè sorelle come per loro sarebbero stati per noi dei “bhai”, cioè fratelli. Che nonostante i chilometri di distanza saranno sempre i nostri fratelli acquisiti e che li porteremo sempre con noi nel cuore. Noi abbiamo messo il bracciale al loro polso ma i bambini se lo sono tolto e l’hanno legato al nostro, come se facessero la promessa al contrario. Un gesto commovente e tenerissimo. Avevo le lacrime agli occhi: nonostante non abbiano niente, cercano in qualche modo di arrangiarsi con quel poco che hanno. Ti riempiono il cuore con l’amore.
Il momento più commovente è stato quando mi sono resa conto del significato della parola “didi”. In hindi significa sorella e i bimbi ti chiamano così. Mi sono sempre sentita a casa in questo orfanotrofio. E oggi, quando mi hanno chiamato sister, come se fossi in realtà una sorella più piccola, per le signore che lavorano, e più grande, per i bimbi, mi sono resa conto del peso della parola didi. Mi hanno fatto sentire come in una famiglia. Come se loro mi avessero accolto nella loro famiglia.
* 24 anni, di Como, corso di laurea magistrale in Psicologia dello sviluppo e dei processi di tutela, facoltà di Psicologia