di Sara Pegoraro *
Dell’Uganda mi ricordo tutto. Mi ricordo come sono arrivata, piena di curiosità e di timore, come mi succede ogni volta che inizio una nuova avventura. Ma questa volta era diverso. La prima settimana neanche capivo cosa mi succedeva dentro, cosa mi provocava emotivamente tutto ciò che vedevo. Poi ricordo quando Alessandra ha apertamente espresso le sue difficoltà. Credo che da quel giorno davvero abbia preso inizio per me l’Uganda, sia iniziato a entrarmi ogni sguardo, ogni abbraccio ogni bacio che ricevevo.
È stato difficile mettere alla prova molti lati del mio carattere. Però non ho mai ricevuto e visto così tanto amore tutto assieme. Ciò che mi colpiva andando a scuola, ma anche stando in missione, era come per le persone del luogo fosse importante sapere che noi fossimo presenti, al di là di quello che facevamo per loro. Questo è stato sconvolgente e commovente. Ho detto anche in missione perché è stato bello vedere come anche lì le attenzioni per noi fossero sincere. Tornavo a casa la sera con il cuore pieno, colmo: quei bambini che non ti lasciavano mai le mani, a volte pensavo “ti prego, lasciami respirare”.
Ogni giorno ho scritto, non lo faccio mai quando sono a Milano. Il vuoto del non far nulla, avevamo i momenti morti soprattutto dopocena, non mi terrorizzava, ero in pace, ero serena. Questo mi manca dell’Africa, quella serenità che non vuol dire che tutto andasse bene sempre, ma che sapevo affrontare anche i pensieri, perché mi sentivo accompagnata. Ero io lì per aiutarli ma erano loro che aiutavano me.
Ho visto tanti volti, tanti occhietti vispi, ricevuti miliardi di lettere, disegni, baci, stretto mani. Mi sono sentita così a casa e felice da non potere immaginare. Non pensavo di piangere per una settimana prima di andarmene, non pensavo di piangere ogni volta che lo racconto. È stato duro il ritorno anche se travolta da un altro turbinio di emozioni non ho neanche realizzato, come fosse stato un sogno.
So solo che quella mia quotidianità di “cose che non ci sono” e di noi uniche musungu, non la vedevo più. Sono tornata e vedevo solo cose su cose e persone che correvano e solo musungu. La terra rossa non c’era e non eravamo più lì a dover aspettar i driver ma c’era la metropolitana. E ora che da laureata mi trovo a far lezione, ogni tanto penso a quando ne avevo 99 che mi ascoltavano, che se anche non mi ricordavo il loro nome sapevano che ero lì per loro.
* 24 anni, studentessa di Scienze della formazione primaria, quinto anno, facoltà di Scienze della formazione, campus di Milano