“In che mondo viviamo!”. Quante volte si sente questa esclamazione per sottolineare che i tempi passati sono proprio finiti e un’altra cultura ha preso il sopravvento. La modernità ha archiviato un modo di comunicare, di incontrarsi, di fare festa. La secolarizzazione ha ridimensionato lo spazio pubblico della religione, ha privatizzato la fede, ha laicizzato la politica, ha introdotto un codice di valori civili. Avanza, in questo quadro, un fenomeno nuovo e preoccupante per le dimensioni che assume: il suo nome è indifferenza. E con essa precipitano la capacità di essere comunità da parte degli individui e il desiderio di esercitare pratiche di socialità. Una cultura individualista impoverisce la costruzione della casa comune e inaridisce il cuore della persona. Eppure non può esserci società senza riti, senza feste, senza momenti comunitari. Ogni stagione della storia è definita dal modo con cui gli uomini si relazionano. La festa ha sempre caratterizzato due aspetti della convivenza: la dimensione religiosa e l’aggregazione sociale-politica. Ogni festa, sacra o profana, ha un proprio rito, un tempo, una organizzazione e delle regole.

La società contemporanea non ha ucciso “la festa”, l’ha profondamente cambiata. Il ritrovarsi di una comunità, di una città, di un Paese non è più scandito dal calendario religioso o dalle feste nazionali. Questi appuntamenti non sono morti, semplicemente sono passati in second’ordine. E quando hanno grande rilevanza come il Natale, prevale la loro versione commerciale. Si assiste poi a una polverizzazione delle feste attorno alla musica, allo sport, al desiderio di socializzazione. Soprattutto sono entrati in scena da protagonisti i mass-media con la loro potente capacità di trasformare tutto in evento con le opportune ritualità. Sociologi e antropologi continuano a studiare il fenomeno della festa perché essa rappresenta un pilastro della convivenza umana anche quando mostra il suo volto sovversivo (si pensi alle antiche feste dionisiache che nei secoli hanno mutato nome ma conservato l’elemento eversivo e di negazione delle regole costituite). La festa ha un ruolo importante perché è “antropologicamente l’alternativa alla guerra”.

Per il secondo appuntamento con la rubrica "Dialoghi nei chiostri" Younicatt ha posto tre domande per capire la nuova cultura della festa ai professori Silvano Petrosino, direttore dell’Archivio “Julien Ries” per l’Antropologia simbolica della Università Cattolica e Marina Villa, ricercatore alla facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere.