«Dopo un lungo tempo in cui si è guardato alla Cina come a un mondo misterioso, lontano, esotico e un periodo più recente in cui si è vista l’esperienza della Repubblica popolare cinese di Mao come un modello rivoluzionario alternativo ad altri, oggi possiamo dire che la Cina finalmente è diventata un Paese molto più vicino. Un mondo che si può conoscere e frequentare facilmente». La professoressa Elisa Giunipero, che da aprile succede a Edilio Mazzoleni come nuova direttrice dell’Istituto Confucio dell’Università Cattolica, descrive così la crescente attrazione che il gigante asiatico esercita sul nostro Paese.

Un legame che si traduce nell’incremento di studenti dell’ateneo che scelgono il cinese come una delle due lingue primarie dei corsi di laurea della facoltà di Scienze linguistiche, aumentati del 28% nel giro degli ultimi cinque anni. Ma anche nell’intensificarsi degli scambi universitari: in un quinquennio le partenze con destinazione Cina per periodi di studio, tesi o lavoro hanno sfiorato quota + 90%.

Numeri a cui vanno aggiunti quelli relativi alle attività dell’Istituto Confucio, vero pivot del legame tra Italia e Cina. «Per limitarci solo all’esperienza dei corsi di lingua organizzati dal Confucio in Cattolica – afferma la professoressa Giunipero, docente di Storia della Cina contemporanea alla facoltà di Lettere e filosofia - nel 2014 abbiamo avuto un aumento dei frequentanti pari al 40% rispetto al 2013. Nei primi cinque anni di attività abbiamo attivato in media 10 corsi ogni semestre nella sede di Milano - inclusi corsi di Business Chinese - e due nella sede di Piacenza. Siamo inoltre centro di certificazione linguistica attraverso il Chinese Proficiency test (HSK), con una media di 600 esami ogni anno, sostenuti non solo da studenti dell’Istituto Confucio ma provenienti da tutta la Lombardia».

Lo studio del Cinese interessa, dunque, sempre più studenti. «Entrare in un universo espressivo completamente diverso dal proprio, questo è affascinante! Pensiamo solo alla sfida di imparare un sistema di scrittura così antico e straordinario. Questa lingua non è una barriera, è una lingua che, come tutte altre, si può imparare e, se la si studia con metodo, si può imparare bene».

Come sostenere questa grande voglia di Cina? «In questi anni i corsi di lingua cinese a ogni livello offerti dall’Istituto Confucio sono costantemente aumentati e stiamo lavorando perché, entro quest’anno, siano attivati corsi di lingua e cultura cinese anche a Brescia».

La richiesta cresce anche a livello di scuola superiore. «Per promuovere il Cinese tra gli studenti abbiamo già costituito tre “Aule Confucio” in tre istituti della Lombardia. E siamo punto di riferimento per gli insegnanti, con corsi di formazione specifici. D’altra parte la didattica del Cinese non si improvvisa e l’essere sostenuti dal Confucio della nostra università è un garanzia di qualità».

Non mancano, ovviamente, anche studenti cinesi che scelgono la nostra Università per studiare in Italia. Lo scorso anno accademico erano 30. Da cosa sono attirati? «La facoltà di Lettere della Cattolica accoglie, in particolare, studenti cinesi che vogliono approfondire la conoscenza della lingua, della cultura, dell’arte e della letteratura italiana. La partnership del Confucio con la Beijing Language and Culture University, una delle poche università cinesi dove si studiano la lingua e la cultura italiana, facilita questo tipo di scambio».

Che progetti intende potenziare alla guida dell’Istituto Confucio? «Vorrei sviluppare ricerche multidisciplinari che, nella prospettiva interculturale, permettano di mettere a fuoco soprattutto l’interazione della Cina (di ieri e di oggi) con l’Europa. Conoscere la Via della Seta, che oggi i cinesi vanno riscoprendo, cioè l’emblema delle antiche relazioni culturali ed economiche nel continente euroasiatico e delle reciproche influenze tra la Cina e il nostro paese, dai tempi dell’impero romano a oggi. Studiarne la storia è uno dei tanti modi di accostarsi alle sfide del presente».

Quindi, non solo studio della lingua cinese. «Studio della lingua e della cultura insieme ma anche attenzione alla ricerca scientifica vorrei che diventassero lo specifico dell’Istituto Confucio dell’Università Cattolica, che è particolarmente sensibile alla valorizzazione di fecondi esempi di incontro con tra europei e cinesi realizzati nel passato. Non si può a questo proposito non citare il caso di Xu Guangqi e Matteo Ricci. Oggi, per pensare al futuro, diventa sempre più necessario conoscere non solo le differenti categorie culturali e di pensiero ma anche le concrete esperienze di incontro realizzate nella storia».

Questo può aiutarci a capire qualcosa di più di un Paese che per noi occidentali rimane sempre un po’ misterioso? «Dire che la Cina è più vicina, in effetti, non significa affermare che sia facile comprendere il mondo cinese di oggi, andando oltre le semplificazioni e gli stereotipi. Non è facile valutare bene costi e benefici del fulmineo sviluppo economico degli ultimi decenni così come non è semplice interpretare la realtà di un Paese da sessant’anni ininterrottamente governato da un partito comunista che resta partito unico e incontrastato ma che ha avuto una notevole evoluzione ideologica. Anche per questo l’Istituto Confucio, con le competenze sinologiche di chi ci lavora, rappresenta uno strumento qualificato per fornire a sempre più persone quel bagaglio di strumenti indispensabili per affrontare le sfide e le opportunità che la Cina ci pone davanti».