Trovare una via europea se non italiana ai MOOCs, con un sistema misto di cui il Massive Open Online Course sia la parte accessibile gratuitamente, premessa di una parte a pagamento che conduca alla certificazione e al riconoscimento di crediti universitari formativi (Cfu). È la direzione che indica alle università del nostro Paese il professor Pier Cesare Rivoltella, ideatore del primo MOOC dell’Università Cattolica.

Negli ultimi anni, infatti, le nuove tecnologie hanno investito in maniera sempre più consistente gli Atenei internazionali: dalle nuove modalità di trasmissione della conoscenza, alle metodologie innovative di apprendimento, al coinvolgimento di grandi numeri di studenti attraverso la formazione a distanza. Ma è soprattutto il fenomeno dei Massive Open Online Courses (MOOCs) ad avere aperto scenari inediti per la formazione, sia in termini di opportunità, sia facendo emergere fattori di criticità; in particolare, ponendo una serie di interrogativi rispetto al rapporto con i modelli tradizionali di insegnamento. Le università si ritrovano, così, a dover riflettere sul loro ruolo nel campo delle diverse soluzioni di apprendimento: quali sono le linee evolutive possibili? Quali i vantaggi, e quali le problematiche?

L’attività di scientifica del professor Rivoltella si colloca al cuore di queste tendenze: docente di Tecnologie dell'istruzione e dell'apprendimento all’Università Cattolica, insegna Didattica generale e Tecnologie dell'educazione, è direttore del Centro di ricerca per l'Educazione ai Media, all'Informazione e alla Tecnologia (Cremit) e presidente della Società italiana di ricerca sull'Educazione mediale (Sirem).

«Nel nostro Paese – afferma - l'educazione a distanza non ha mai rappresentato una reale opportunità a differenza di altri Paesi che per tradizione (penso alla UNED in Spagna o alla Open University in Gran Bretagna) o conformazione geografica (esemplare è il caso del Canada) l'hanno sempre praticata. Oggi mi pare che le cose stiano cambiando, sia per ragioni tecnologiche che di bisogno».

In che senso? «Tecnologicamente parlando, la diffusione di sistemi di videocomunicazione leggeri e della banda larga abbattono i costi della trasmissione e consentono la gestione dei contenuti in mobilità. Dal punto di vista dei bisogni, invece, il ritorno in formazione di studenti adulti e già professionalizzati sta creando un mercato».

Nella rivoluzione digitale che sta investendo il mondo dell’education, un posto importante occupano i MOOCs. Quali sono i tratti distintivi e quale il loro impatto sulla società attuale? «Nascono negli Usa e in quel contesto, segnato dalla mancanza del valore legale del titolo di studio e da una forte disproporzione tra disponibilità di università di qualità e possibilità di accesso a esse, assumono una funzione di democratizzazione del sapere. Da noi finora hanno risposto alle esigenze del marketing formativo, peraltro in un numero limitato di casi».

Cosa si potrebbe fare? «Occorrerebbe trovare una via europea se non italiana ai MOOCs, forse immaginando un sistema misto di cui questo rappresenti la parte open, accessibile a costo zero, a fare da premessa per una parte a pagamento che conduca alla certificazione e al riconoscimento di Cfu. Potrebbe funzionare molto bene nel terzo livello della formazione come nell'educazione continua delle professioni. Nei mesi scorsi proprio in Università Cattolica lo abbiamo sperimentato con successo».

I MOOCs potrebbero dunque introdurre delle vere opportunità dal punto di vista dell’insegnamento: qual è il loro valore aggiunto? E quali i limiti? «Il vantaggio è sicuramente legato all'accessibilità di contenuti la cui qualità, grazie all'Università, sarebbe di sicuro garantita; ma anche la dimensione sociale che di solito si organizza attorno ai contenuti rappresenta un elemento di sicuro interesse in funzione dell'apprendimento. I limiti stanno nell'elevato indice di drop-out che i MOOCs abitualmente hanno e nell'impossibilità di controllare la circolazione dei contenuti stessi».

Oltre a rappresentare una nuova modalità di formazione, i MOOCs potrebbero costituire anche un sistema di interazione tra studenti? «La dimensione sociale, il "gruppo di affinità", è un'occasione importante per sviluppare apprendimento nella misura in cui in esso si producono grammatiche esterne in grado di guidare la comprensione e l'uso delle grammatiche interne delle diverse discipline. Il dispositivo è noto perché popola il Web da tempo nel fenomeno dei newsgroup e più di recente nel mondo dei videogames. Si tratta di pratiche di peering diffuse nelle culture giovanili e proprio per questo da guardare con interesse da parte di un'Università che voglia fare innovazione sul piano delle metodologie».

Nei mesi scorsi la Cattolica ha lanciato con successo un Mooc, dietro al quale c’è la sua firma. Una via italiana al distance learning? «"Virtùalmente" è un MOOC sulle virtù del digitale sviluppato dal Cremit insieme all'Istituto Toniolo, a Ilab e alla Formazione Permanente dell’ateneo. L'idea è nata dall'annuale concorso del Toniolo orientato a far riflettere sulle opportunità piuttosto che sui pericoli del Web. Io ho raccolto la sfida pubblicando un libro (Le virtù del digitale. Per un'etica dei media) appena uscita da Morcelliana e ispirando a esso i contenuti del MOOC.

Come si è sviluppato? «La struttura è semplice: sette moduli (uno per virtù) ciascuno dei quali si struttura in brevi videolezioni, contenuti per l'approfondimento, suggerimenti bio-bibliografici. La piattaforma scelta è Open Education, l'ambiente MOOC della Blackboard Corporation. Il MOOC ha avuto circa 500 iscritti; 17 di essi si sono iscritti alla parte Plus in cui, in classe virtuale, sono accompagnati a discutere dei casi sulle singole virtù e a produrre delle attività. A conclusione di questa parte a pagamento i partecipanti otterranno un titolo di Alta Formazione dell'Università Cattolica. Siamo molto soddisfatti del risultato e ci accingiamo a lanciare una seconda edizione del MOOC».