Un network che mette in contatto automobilisti e persone alla ricerca di un passaggio; una piattaforma che consente di scambiarsi servizi in cambio di tempo e non di denaro; un portale dedicato alla condivisione e al noleggio di beni tra privati; una rete che collega persone che hanno uno spazio in più, dalla casa intera a una stanza, con chi cerca un posto dove alloggiare.
Sono solo alcuni esempi della diffusione della sharing economy anche in Italia. Un nuovo modello economico a cui è dedicato Sharitaly, il primo evento scientifico sul fenomeno, organizzato il 29 novembre nella sede di largo Gemelli dell’ateneo.

«Si chiama “sharing economy” e si propone come un nuovo modello economico, capace di rispondere alle sfide della crisi e di promuovere forme di consumo più consapevoli basate sul riuso invece che sull’acquisto e sull’accesso piuttosto che sulla proprietà - spiega Ivana Pais docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro dell’Università Cattolica, tra gli organizzatori dell’evento -. Si traduce con “economia della condivisione”, un’espressione che richiama esperienze di lunga tradizione, soprattutto in Italia, dal mutualismo alle cooperative fino alle imprese sociali».

Un fenomeno nuovo, dunque, ma con radici lontane. Per spiegare cosa ricomprendere sotto la categoria di sharing economy la professoressa Pais individua almeno tre tratti distintivi: «Il primo è la condivisione, l’utilizzo comune di una risorsa; il secondo è la relazione peer-to-peer, la condivisione avviene tra persone o organizzazioni; l’ultimo è la presenza di una piattaforma tecnologica, che supporta relazioni digitali».

Il fenomeno si distingue al suo interno secondo pratiche molto diverse tra loro, oltre allo “sharing”, la condivisione in senso stretto, vi è lo “swapping” che non è altro che il baratto, lo scambio di beni visto come nuova forma commerciale; e poi vi è il crowding, dall’inglese “crowd” folla, che è la pratica dove più persone si uniscono per creare un servizio o un prodotto, tramite idee creative in caso di crowdsourcing, o tramite risorse economiche in caso di crowdfunding.

In Italia sono sempre di più le attività di sharing economy che si differenziano le une dalle altre in base all’oggetto di condivisione. Si può passare infatti da beni materiali come la macchina fotografica, la bicicletta, il telefono a spazi come la casa, una stanza o luoghi di lavoro; ci sono servizi collaborativi dove si scambiano idee, tempo, competenze e alcune volte anche denaro.

Tra le attività di economia collaborativa che stanno maggiormente spopolando in Italia vi sono piattaforme digitali come Blablacar, Locloc, e TimeRepublik.

Blablacar è un network che mette in contatto automobilisti, con posti liberi a bordo, e persone alla ricerca di un passaggio. Fondata nel 2006, con sede a Parigi, opera in dieci Paesi europei e in sette lingue diverse. In tutta l’Europa i passeggeri arrivano a essere anche più di 700.000 al mese e l’Italia è uno dei Paesi in cui si sta sviluppando maggiormente il fenomeno. Nel sito l’utente può scegliere se salire sulla macchina di un fumatore o no, se è possibile portare un animale o meno e cosi via. Gli utenti inoltre specificano il loro grado di “loquacità” scegliendo tra “Bla”, “Blabla” e “Blablabla”, da cui il nome del network. La loro mission è quella di creare una reale alternativa ai tradizionali mezzi di trasporto, che sia economica, smart ed ecosostenibile.

«Da un lato, la benzina sempre più cara, i costi di gestione e assicurazione in aumento, mettono sempre più in difficoltà i proprietari di auto nella manutenzione e mantenimento ordinario del veicolo. Dall'altro lato, anche per i passeggeri non c'è vita facile; gli aerei, i treni e i bus sono sempre più cari», spiega Franco Lo Giudice, Community Manager di Blablacar. «C'è l'esigenza – aggiunge - di trovare formule alternative di spostamento e la condivisione dell'auto permette di utilizzare quello che si ha in modo più intelligente e sostenibile e, perchè no, smart e social.

Un altro esempio di economia collaborativa è quello di TimeRepublik, una piattaforma che consente ai suoi utenti di scambiarsi servizi in cambio di tempo anziché di denaro. Gli iscritti sono intorno ai 10.000 per 80 Paesi, solo l’Italia ne ha circa 2000. I servizi maggiormente offerti sono svariati, dal supporto informatico, alla fotografia, alle traduzioni. «Il nostro progetto nasce dalla profonda convinzione che tutti, in fondo, abbiano un talento, e che si debbano “soltanto” creare le condizioni per esprimerlo con profitto, anche e soprattutto in un periodo di profonda crisi, non solo economica, come quello che viviamo - spiega Karim Varini, co-founder di TimeRepublik - . La crisi economica ha rappresentato sicuramente un formidabile propellente allo sviluppo delle Banche del tempo e, quindi, di piattaforme P2P come la nostra. Il cambiamento nelle abitudini di consumo, per la verità, sono iniziate però prima della crisi scoppiata nel 2008».

Locloc, invece, è il primo portale italiano dedicato alla condivisione di beni tra privati, che permette a chiunque, dai consumatori ai professionisti, di affittare e mettere in affitto qualsiasi tipologia di oggetto. La community collega i proprietari di case, auto e articoli vari che vogliono trarre benefici dall'affitto delle loro proprietà con le persone che hanno un bisogno temporaneo da soddisfare in modo comodo, sicuro e conveniente. Nato da un’idea della designer trentasettenne Michela Nosè, dalla data di lancio, in soli 8 mesi, il servizio ha registrato 5.280 utenti, con una media di 47 nuovi iscritti al giorno. La loro mission è quella di favorire la diffusione dell’economia della condivisione, colmando il gap, anche culturale, che l’Italia ha nei confronti delle altre economie, in particolare quella americana, francese e dei Paesi nordici in generale.