Quale legame esiste tra l’intervento della cooperazione internazionale in aree di conflitto e la comunicazione? È solo la narrazione di eventi tragici o c’è anche una visione del futuro attraverso la comunicazione?
Queste le domande cui hanno cercato di rispondere Laura Bacalini, di Perigeo NGO, e la giornalista Laura Silvia Battaglia, intervenute giovedì 2 luglio all’incontro Comunicare l’emergenza, comunicare in emergenza. Il webinar, moderato dal direttore del Dipartimento di Sociologia Marco Lombardi e trasmesso sui canali social dell’Università Cattolica, è il secondo appuntamento dei CeSI talks, il ciclo di seminari organizzati dal Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale (CeSI) in cui docenti della Cattolica si confrontano con esperti e professionisti impegnati nei settori che animano il mondo della cooperazione internazionale allo sviluppo, al fine di approfondire questioni al centro del dibattito pubblico in chiave multidisciplinare.
Chi opera in situazioni d’emergenza è consapevole del forte legame tra comunicazione e formazione. Lo sa bene Laura Silvia Battaglia, con alle spalle una lunga esperienza di giornalista in teatri di guerre, spesso dimenticati dai grandi media, e tutor senior della Scuola di Giornalismo della Cattolica dal 2006. «Nell’ambito delle emergenze nelle aree calde del mondo dal Medio Oriente al Nord Africa, nessuna crisi è simile alla precedente o alla successiva. Ogni singola azione ha un effetto, una conseguenza in termini operativi».
La narrazione di una crisi, infatti, ha una sua struttura peculiare, ha sottolineato il professor Lombardi. «Narrare non vuol dire essere ‘Alice nel paese delle meraviglie’, non si hanno conoscenze a priori. Anche se il giornalista già conosce quel determinato Paese, ogni volta occorre procedere a una attenta analisi del contesto».
Infatti, ha ribadito la giornalista Battaglia, occorre raccontare tenendo presente l’aspetto psicologico e le competenze specifiche per evitare che il cronista possa esasperare le situazioni e comunicare confusione e preoccupazione in coloro che leggono.
Per Laura Bacalini, assieme al ruolo centrale della formazione nel campo della comunicazione, conta molto anche la cultura che consente di porsi in spirito di ricostruzione operando al meglio per la pace, la coesione sociale e la resilienza. Il museo per la pace di sui si è occupata è risultato utile per la formazione dei giovani e per creare quel clima di dialogo interculturale, interetnico, interreligioso. La comunicazione attraverso la cultura consente di far dialogare popoli ed etnie, che altrimenti troverebbero più difficoltà. A tal proposito ha citato le azioni terroristiche di distruzione dei simboli della cultura per fermare il rinascere delle comunità, colpite nei loro segni più cari. Di qui l’importanza di intervenire sulle strutture danneggiate, sulle comunità e sui segni culturali da ricostruire.
Due allora le facce complementari della comunicazione durante le crisi: informarsi e aggiornarsi durante le emergenze, ricostruire con la cultura, grazie al sostegno della moderna tecnologia e dei social media che negli ultimi anni hanno intensificato la propria presenza nel raccontare le rivoluzioni o i disastri naturali di alcuni Paesi. Si tratta di un mondo di relazioni sostanziali, «che si costruiscono in loco, mangiando la stessa polvere», come ha concluso il professor Lombardi.