Al Meeting 2020 non poteva mancare una riflessione sul tema della didattica a distanza nelle scuole e nelle università utilizzata quest’anno per sopperire alla mancanza delle lezioni in presenza causa Covid 19. Gettando uno sguardo a ritroso è emersa la necessità di una maggior progettazione della lezione a distanza, di una valorizzazione dei consumi mediali e di nuove strategie per attivare la curiosità.
Moderati da Michele Faldi, direttore Offerta formativa, promozione, orientamento e tutorato dell’Università Cattolica, venerdì 21 agosto, ne hanno parlato a una platea ristretta di iscritti in Zoom Pier Cesare Rivoltella (nella foto in alto), docente di Didattica e pedagogia speciale e direttore del Cremit, il centro di ricerca sull'Educazione ai Media all'Innovazione e alla Tecnologia, e Giovanni Marseguerra, delegato al coordinamento dell'Offerta Formativa.
Cosa è successo nella scuola? Cosa si è imparato nei mesi di didattica a distanza? Secondo Pier Cesare Rivoltella è successo che la scuola ha dovuto far fronte all’emergenza adattando l’insegnamento, delocalizzandolo in modo drastico. «Ne sono derivati due tipi di soluzioni: una deprivazione rispetto alla presenza dell’esperienza didattica; e, in secondo luogo, il tentativo di replicare in remoto la presenza in classe. Ci sono state delle isole di eccellenza, ovvero quelle scuole che avevano accelerato l’esperienza con gli strumenti tecnologici, ma in larghissima parte no. Le scuole dovrebbero aver imparato quattro cose: che una progettazione esplicita delle attività è importantissima; che devono tenere in conto la variabile temporale, quando si lavora a distanza per esempio si deve muovere la regia di chi interviene; che la collegialità è importante, purtroppo poco usata dagli insegnanti delle superiori; che non ci deve essere autoapprendimento ovvero che lo studente non va lasciato da solo, ma che bisogna recuperare un’interazione anche online».
Ma quale equilibrio ci deve essere fra la lezione online e quella in presenza? Per Rivoltella bisogna legare insieme la distanza con la perdita del controllo. «C’è un pregiudizio nella didattica a distanza secondo cui non c’è relazione. Per me la relazione non dipende dalla distanza o dalla presenza, ma dall’intenzionalità del relatore e dalla capacità di tradurla in gesti. Si può essere relazionali a distanza sorprendendosi di riuscire nonostante la distanza a sviluppare una relazionalità che non sempre avviene in presenza. È l’intenzionalità educativa a tradurla in pratica, a fare la relazione. Essere relazionali a distanza significa mettere in conto una grande disponibilità di tempo, che scavalca i classici orari scolastici. In secondo luogo, bisogna usare con grande attenzione i momenti sincronici, nel piccolo gruppo o singolarmente poiché incontrare gli studenti live è importante. Terzo, occorrono competenze di comunicazione online per saperli gestire al meglio. Si è relazionali a prescindere dalla relazione quando c’è l’intenzionalità».
E negli Atenei cosa si è imparato? «Tutti abbiamo capito che quando si parla di didattica l’elemento cruciale è l’interazione» precisa Giovanni Marseguerra. «È estremamente importante la partecipazione attiva degli studenti perché insegnare non può essere ridotto a parlare. È risultato chiaro che è sempre più importante l’apprendimento fuori dalle istituzioni. Scuola e università dovranno sempre più essere in uscita, andare all’esterno. Questo ci obbliga a rivedere la strategia dell’educational. Le università sono andate bene, pare che nelle aule virtuali abbiano partecipato più studenti che in presenza. Non si sono fermati gli esami e nemmeno le lauree. L’Università Cattolica ha realizzato 37 mila lezioni, 7 mila appelli d’esame, 500 commissioni di laurea. L’Ateneo pare abbia tenuto molto bene, anche se la continuità accademica è stata la priorità a scapito delle relazioni e della socialità con gli studenti. Non tutti - secondo l’Ocse solo la metà - ha potuto usufruire della digitalizzazione della didattica; c’è ancora disuguaglianza nell’accedere all’educazione. C’è ancora forte disomogeneità nei vari territori, serve investimento nei docenti, i dispositivi tecnologici sono molto importanti ma non cambiano le basi del processo di apprendimento. L’intenzionalità educativa, l’interazione è fondamentale per apprendere».
Con il Covid secondo l’Economist è finita una golden age per le istituzioni scolastiche. Per Marseguerra ora servono politiche nuove, serve investire nel capitale umano e avere una nuova visione. «Fondamentale sarà investire nelle nuove generazioni ma bisogna ripartire da basi nuove, dall’educazione della persona, dalla sua libertà responsabile, solo così troveremo il giusto equilibrio tra l’autonomia dello studente e l’intervento del docente». Rivoltella è convinto che «la questione fondamentale sarà legata all’organizzazione scolastica, al tempo scuola: insegnante-disciplina-ora di lezione ha fatto il suo tempo. Occorre una nuova capacità per far vivere le effettive potenzialità dell’autonomia».