Domenica 17 aprile si celebra la giornata mondiale dell'emofilia, una malattia rara che nelle sue due versioni colpisce una persona su 10mila, per quanto riguarda quella definita di tipo A, e una persona su 50mila per quella di tipo B. Nel Lazio ne sono affette mille persone.
Per l'occasione abbiamo fatto il punto della situazione con Raffaele Landolfi, direttore dell’Unità Operativa di Clinica Medica e responsabile del Centro Emofilia del Policlinico Gemelli.
Qual è l’offerta assistenziale per i malati di emofilia nel Lazio?
«Nella nostra Regione ci sono due centri di riferimento per le persone affette da questa patologia: il Centro emofilia del Policlinico Gemelli e quello del Policlinico Umberto I. Il nostro Centro comprende un laboratorio ubicato all’interno del Servizio Malattie Emorragiche e Trombotiche, un servizio ambulatoriale e di Day Hospital per gli adulti e un servizio ambulatoriale e di Day Hospital pediatrico gestito in collaborazione con l’oncologia pediatrica. Presso il nostro Centro vengono seguiti circa 40 pazienti affetti da emofilia grave e ricevono assistenza sia per quanto riguarda la terapia dell’emofilia, che per eventuali complicanze (patologie articolari, infettivologiche, epatologiche) assistenza odontoiatrica, fisioterapia».
Come si accede al Centro di Emofilia del Gemelli ?
«I riferimenti telefonici del nostro Centro (06-30154438/5441/4335) sono portati a conoscenza dei pazienti e delle loro famiglie grazie alla stretta collaborazione con l’Associazione Italiana dei Centri Emofilia e le sue sezioni regionali. Pazienti o loro familiari ci contattano e, a seconda dell’età e delle esigenze assistenziali, vengono indirizzati all’ambulatorio o al day hospital per gli adulti o per i bambini».
Qual è il modello assistenziale più idoneo per le esigenze dei pazienti?
«Il paziente emofilico, soprattutto se portatore di complicanze legate alla malattia, ha bisogno di un’assistenza integrata che implica la nostra collaborazione, oltre che con i pediatri, anche con odontoiatri, epatologi, infettivologi, fisioterapisti e ortopedici che nel nostro centro riescono a trovare, ma non sempre è così».
Cosa si deve ancora migliorare?
«Ci sono due aspetti in particolare che vanno migliorati: l’organizzazione dell’assistenza integrata, che in molti centri rimane ancora problematica, e la comunicazione con le famiglie, gli insegnanti e con quanti interagiscono con i bambini e le persone affette da emofilia. Dobbiamo spiegare bene che questa malattia non deve più spaventare e quindi i bambini emofilici non devono vivere sotto una campana di vetro».
Su quali temi si sta concentrando la vostra attività di ricerca ?
«Sono in via di pubblicazione studi su nuovi prodotti per la cura dell’emofilia, per indurre tolleranza nelle persone che sviluppano anticorpi contro i fattori somministrati per la prevenzione o il trattamento delle emorragie».
Qual è oggi l’aspettativa di vita dei pazienti con emofilia?
«Prima del 1968 era di 20 anni; l’unica terapia disponibile consisteva nella trasfusione di plasma o di sangue intero. Dalla fine degli anni 90 c’è una normale aspettativa di vita grazie al progresso dei trattamenti. Le terapie attuali sono fattori liofilizzati purificati di plasma umano e fattori prodotti con tecnica ricombinante».
Più in dettaglio di cosa si tratta?
«I fattori prodotti dal plasma umano sono resi sicuri da tecniche di inattivazione dei potenziali virus (dell’epatite C e virus HIV, soprattutto). Mentre i fattori prodotti con tecnica ricombinanti sono fattori della coagulazione del tutto simili a quelli umani prodotti in laboratorio con tecnica “ricombinante”. E’ una tecnica largamente applicata anche nella produzione di altre proteine umane (ad esempio l’insulina) e basata sul trasferimento dell’informazione genica umana a microrganismi coltivabili in laboratorio. Grazie all’informazione a essi fornita divengono capaci di produrre quantità di proteine umane che, prima del loro uso, vengono sterilizzate e purificate».