È stata davvero una speciale e piacevolissima lectio quella offerta lo scorso 16 marzo da Aldo Grasso, ospite de Il cielo nelle stanze, iniziativa promossa dal Policlinico “Agostino Gemelli” e dalle librerie Arion per portare le voci più autorevoli della cultura a diretto contatto con degenti e visitatori della struttura romana. Nel rispondere alle domande di Luciano Onder – secondo il quale il docente della Cattolica «guarda alla tv come un cardiochirurgo al cuore, con rigore e attenzione» – si è sviluppata una conversazione sempre ben radicata in una solida prospettiva d’analisi storica, ma ricca di spunti d’attualità, su ciò che è stato (e forse non è più) il piccolo schermo in Italia.
I meriti di un passato neppure così lontano sono indiscutibili. Festeggiamo in questi giorni i 150 anni del Paese, tuttavia – ha sottolineato Grasso – «l’unificazione vera si è sicuramente realizzata con l’avvento della televisione, perché una nazione esiste solo quando vi si parla un’unica lingua. Che da noi non è stata tanto quella dell’Alighieri o di Manzoni, quanto piuttosto quella di Mike Bongiorno e di Lascia o raddoppia?». La tv ha contribuito non poco alla costruzione della nostra identità di popolo, «fatta di cerimonie condivise e di racconti che narrano le vicende dei protagonisti di una storia comune».
E oggi? Secondo il professore, autore fra l’altro del recente volume Prima lezione sulla televisione, «la tv – quella generalista, almeno – avrebbe bisogno di un check up completo, perché non gode affatto di buona salute. Al contrario, sembra gravemente ammalata». A questo punto è necessario fare una distinzione importante, sebbene non sempre adeguatamente considerata, fra ‘televisione’ e ‘Rai’. Per ciò che riguarda la prima, bisogna rendersi conto che non c’è più ‘una’ sola televisione, bensì molte. «Esistono ormai le televisioni (al plurale), associate alle molteplici modalità di fruizione offerte soprattutto da internet. Basta pensare ai giovani, che guardano i programmi per frammenti, senza rispettare alcun palinsesto. Per questo, qualche volta, ho come l’impressione di tenere un corso di papirologia invece che di radio e tv, tanta è la distanza manifestata dai miei studenti verso questi media».
Altro discorso riguarda la Rai. Se ne sostiene ancora la natura di servizio pubblico, ma non se ne riscontrano più le caratteristiche: «Da troppi anni – ha osservato Grasso con lucida schiettezza – è solo il bottino di guerra delle elezioni. Manca una linea editoriale riconoscibile; sono rimaste solo le linee politiche. A volte è difficile non avere la sensazione che la Rai sia quasi un’ancella che lavora per la concorrenza». Mentre appare urgente dispiegare un progetto culturale di ampio respiro, in grado di garantire agli spettatori informazione, divertimento e, in primo luogo, compagnia: «La tv resta il più formidabile strumento d’uso quotidiano per milioni di persone: è l’‘ospite fisso’ in ogni casa e spesso è d’indispensabile conforto per chi sia ‘condannato’ a momenti più o meno lunghi di solitudine domestica». Si tratta, in fondo, della medesima logica che anima il ciclo de Il cielo nelle stanze, che proprio grazie al circuito tv del Gemelli dà anche ai malati nei reparti la possibilità di ‘partecipare’ agli incontri assistendovi in diretta video. A proposito, invece, di informazione, quali sono i migliori Tg in circolazione? Il critico del Corriere della Sera ne ha in mente tre: «Sky Tg24, con la sua formula all news; il Tg2, forse il più equilibrato fra le reti nazionali; il Tg7 di Enrico Mentana, che rilancia con successo la figura dell’anchorman, conduttore-commentatore sul modello americano».
Un accenno, inevitabile, vi è stato anche per Mediaset, l’altra faccia della luna televisiva: in Italia, un’invenzione legata al nome di Silvio Berlusconi, «che ne ha intuito la straordinaria forza commerciale: si ‘vendono’ gli spettatori agli inserzionisti. Una rivoluzione, insieme con la ‘misurazione’ del pubblico tramite l’Auditel, che tanto condiziona la sopravvivenza dei programmi tv».
Ciò che dovrebbe contare, tuttavia, sarebbe piuttosto la qualità dei contenuti: «Riflettiamo sui telefilm made in Usa. Serie come Lost o House M.D. beneficiano di una scrittura raffinata e di meccanismi narrativi complessi. Riescono a piacere al grande pubblico veicolando idee e valori in modo efficace, senza retorica».
Nel finale, non sono mancate alcune stoccate, per esempio verso la tv di Maurizio Costanzo «e di sua moglie; una tv che non amo, perché mira solo a rafforzare il potere del conduttore e non ha alcuna funzione di servizio». Grasso è tornato anche sulle sue critiche alle apparizioni televisive di Roberto Saviano: «Io l’ho sempre seguito con affetto. Quello che temo è che lui rinunci a se stesso e cominci a essere il ‘personaggio Saviano’. Ma mi auguro che il successo non fermi il suo percorso di crescita». In caso contrario, non v’è dubbio che l’affilata penna di Aldo Grasso tornerà all’opera.
Il prossimo appuntamento con Il cielo nelle stanze è per giovedì 31 marzo, con Aldo Cazzullo e il suo volume Viva l’Italia!.