Definita malaria per la credenza che venisse trasmessa dalle paludi e dall’aria stagnante, la “mal’aria” per l’appunto, questa grave e temuta patologia oggi è ancora una delle infezioni più diffuse a livello mondiale. Ogni anno si registrano tra i 300 e 500 milioni di nuovi casi e il numero dei morti si aggira tra i 700mila e i 3 milioni. Circa 30mila sono i viaggiatori che ogni anno la contraggono durante viaggi in aree endemiche. Africa sub sahariana, Asia sud-orientale e America centro-meridionale sono le aree di maggiore diffusione della malattia. Alla vigilia della giornata mondiale della malaria, il World Malaria Day, che si celebra come ogni anno il 25 aprile, abbiamo fatto il punto su questa terribile malattia con Roberto Cauda, direttore della Clinica di malattie infettive dell’Università Cattolica e del Centro di Ateneo per la Solidarietà internazionale (Cesi).
Da cosa è provocata la malaria?
«L’agente eziologico della malaria è un parassita del genere Plasmodia. Quattro specie possono causare la malattia: P. falciparum, P. vivax, P. ovale e P. malariae. Una quinta specie, il P. knowlesi, che prima era considerata importante solo nelle scimmie, è stata recentemente ritenuta responsabile di infezione anche nell’uomo».
Come si trasmette?
«La malaria si trasmette prevalentemente attraverso la puntura delle femmine di zanzara Anopheles, che è diffusa in Africa sub sahariana, Asia sud-orientale e America centro-meridionale. Il rischio di trasmissione nelle regioni endemiche è maggiore nelle aree rurali e al termine delle stagioni piovose. Altri meccanismi di trasmissione, prevalenti nelle aree non endemiche, sono costituiti da trasfusioni di sangue infetto o condivisione di aghi contaminati, trapianti d’organo e trasmissione materno-fetale».
Quindi non dipende dall’ambiente?
«In passato, quando ancora non era ben definiti il ruolo centrale svolto dalle zanzare nella trasmissione della malaria (ruolo che è stato scoperto, tra gli altri, da clinici italiani), la trasmissione veniva attribuita all’ambiente inquinato. Non è forse superfluo ricordare che la presenza di aree malariche contigue alla città di Roma, in particolare le paludi pontine e l’agro romano, hanno rappresentato, nel 1800 e nella prima metà del ‘900, una occasione unica per poter studiare questo terribile flagello. Del resto la scuola malariologica romana con Angelo Celli, Giambattista Grassi, Ettore Marchiafava, Amico Bignami, Giuseppe Bastianelli ha rappresentato per anni il punto di riferimento su questa malattia, per gli studiosi di tutto il mondo».
Quali sono i sintomi con cui si manifesta?
«I sintomi della malaria si manifestano durante la fase eritrocitaria del parassita, cioè quella fase del ciclo vitale in cui invade e successivamente distrugge i globuli rossi dell’ospite. I segni e i sintomi possono essere vari, ma tutti gli individui non immuni manifestano invariabilmente febbre. Altri sintomi frequenti sono il brivido scuotente, sudore, cefalea, dolori muscolari, stanchezza, nausea, dolori addominali, vomito, diarrea e tosse. Il picco febbrile, che corrisponde alla rottura dei globuli rossi infetti, può manifestarsi quotidianamente e irregolarmente, qualsiasi sia la specie di Plasmodium in causa, mentre in una piccola percentuale di casi tende a regolarizzarsi manifestandosi ogni 48 ore nel caso di infezione da P. falciparum, P. vivax e P. ovale (febbre che pertanto veniva classicamente definita “terzana”) e ogni 72 ore nel caso di P. malariae (“quartana”). Gli esami di laboratorio mostrano anemia di variabile gravità e piastrinopenia. Particolarmente temibile, soprattutto in età infantile, è la malaria cerebrale da P. falciparum, che si manifesta con alterazione dello stato di coscienza e convulsioni fino al coma, e che è invariabilmente letale se non trattata. Altre complicazioni extracerebrali possono essere l’insufficienza renale, l’edema polmonare, l’ipoglicemia».
Come si diagnostica la malaria?
«Il sospetto diagnostico di malaria dovrebbe essere considerato in ogni individuo febbrile con recente esposizione a una zona endemica, anche se per brevi periodi. La diagnosi di laboratorio si effettua tramite esame emoscopico su striscio sottile e goccia spessa. Il campione da sottoporre a indagine dovrebbe essere prelevato dai capillari periferici (ad esempio tramite puntura su polpastrello) ove i plasmodi tendono a concentrarsi maggiormente. La metodica dello striscio sottile permette anche una quantificazione della carica parassitaria, che rappresenta un elemento utile nella valutazione della risposta terapeutica. Metodiche di biologia molecolare, che studiano il Dna del parassita risultano utile per effettuare diagnosi di specie e valutare le resistenze ai farmaci».
Quali sono le terapie?
«L’opportuna terapia va scelta sulla base della specie di Plasmodium coinvolta, della regione di acquisizione e delle condizioni cliniche del paziente. In linea generale, i pazienti con malaria da P. falciparum vanno trattati in regime ospedaliero fino a un miglioramento clinico e alla dimostrazione di una riduzione della carica parassitaria. La maggior parte di essi, può essere trattata con terapia orale, a meno che il quadro clinico non sia severo e che, pertanto, richiede terapia per via endovenosa. Le ultime linee guida internazionali dei Centers for Diseases Control and Prevention suggeriscono Atavaquone-Proguanil come farmaco di prima scelta nel caso di malaria non complicata, seguito da Artemisina, o la combinazione di chinino solfato con doxiciclina o tetraciclina o clindamicina, e infine da meflochina. La clorochina per via orale è consigliata solo nelle regioni clorochino-sensibili, cioè l’America centrale e la maggior parte del Medio Oriente. Per la malaria severa le linee guida raccomandano l’uso di chinidina per via endovenosa associata a doxiciclina o tetraciclina o clindamicina. Studi più recenti sembrano affermare che anche i derivati dell’artemisina per via endovenosa siano efficaci nel trattamento della malaria severa».
È possibile prevenire l’insorgenza della malattia?
«Le misure preventive contro la malaria includono la profilassi farmacologica e la protezione dai vettori. La chemioprofilassi antimalarica si basa sul principio secondo il quale si raggiunge e si mantiene una concentrazione plasmatica di un farmaco anti-malarico a livelli bassi per essere curativi ma sufficienti a impedire che si sviluppi la malattia dopo una puntura della zanzara infetta. Tale concentrazione deve essere mantenuta per tutto il periodo in cui si è potenzialmente esposti alla malattia, cioè per tutto il periodo di permanenza in zona malarica».
Come difendersi?
«Per quanto riguarda le norme di protezione bisogna ricordare che la zanzara femmina dell'Anopheles punge preferibilmente di notte, tra il tramonto e l'alba, pertanto i viaggiatori dovrebbero evitare le punture d'insetto soprattutto in queste ore. Si consiglia di vestirsi evitando i colori scuri, coprendosi il più possibile, e di usare spray e sostanze repellenti per gli insetti sulla pelle esposta, di dormire in stanze trattate precedentemente con insetticida, dormendo coperti dalle apposite reti protettive impregnate con insetticida o con repellente. L’Università Cattolica con il suo Centro per la Solidarietà Internazionale (Cesi) è impegnata in numerose iniziative a sostegno dei Paesi emergenti».
Cosa si sta facendo?
«Chi si occupa di cooperazione solidale in ambito sanitario, sa bene che ogni intervento che venga realizzato in paesi in via di sviluppo specie dell’Africa sub sahariana, deve tenere conto del problema malaria che, insieme a tubercolosi ed Aids, rappresentano le principali cause di malattia e morte per quelle aree. Mi fa qui piacere ricordare che il Cesi che dirigo ormai da molti anni, ha programmi sanitari in Africa, in particolare in Uganda, Sud-Africa, e Ghana, programmi che, anche se non disegnati espressamente per la malaria, devono tenere in grande considerazione questa patologia che ripeto essere di primaria importanza».