La lettera che Silvia Vicari ha scritto all’Italia, pubblicata qui sotto, è stata raccontata in un video che su Fb ha raggiunto 39mila persone, con 156 condivisioni, oltre 4mila interazioni (239 like e 17 commenti) e oltre 15mila visualizzazioni. Su Instagram il video ha ricevuto 16.386 visualizzazioni e 850 like, 11.228 visualizzazioni la storia

Cara Italia, 
è una studentessa qualunque che ti scrive e forse non ti arriveranno mai queste parole. Volevo solo dirti che tu lo sai che non è la fine perché riusciremo a rialzarci anche questa volta. Terra in mezzo al mondo, terra d'amore, terra di profumi, terra di colori e terra di allegria e di divertimento. Tornerai a risplendere come hai sempre fatto.

Da nord a sud, non ci sono distinzioni economiche, di dialetti, di usanze o di tradizioni; tutto si è fermato. Le nostre abitudini sono cambiate, non ci abbracciamo, non ci salutiamo, non riusciamo a guardarci più in faccia perché siamo coperti da mascherine e non usciamo più, ma #rimaniamoacasa. Le nostre giornate sono lunghe e spesso anche tristi; sono scandite da appuntamenti televisivi o dirette social che fanno male, sempre più male. I film che raccontano la guerra dei nostri nonni, fanno sempre vedere le famiglie riunite attorno alla radio che aspettano notizie dal fronte. Ecco, le nostre giornate sono esattamente cosi. Aspettiamo notizie ma, questa volta, dagli "operatori" in trincea: i medici, gli infermieri, la protezione civile, le forze dell'ordine, i giornalisti, i videomaker, gli speaker e tutti coloro che costantemente lavorano da circa 2 mesi.
 
Il bollettino che ogni giorno alle 18 viene comunicato in conferenza stampa, porta con sé angoscia e preoccupazione. Ed è come in guerra, i morti sono sempre di più. Camion dell'esercito che portano fuori regione i morti. È così che ci siamo svegliati domenica 22 marzo, una domenica di mezza quaresima, una “domenica delle salme”. E non importa se questi siano in Lombardia o in Sicilia o nel Lazio, piangiamo per un nostro fratello, per un tuo fratello Italia. 

Assistiamo forse a un conflitto mondiale come non si era mai visto, che si combatte giorno dopo giorno, ora dopo ora in tutto il mondo: in Cina, in Giappone, negli Usa, in India, in Spagna, in Inghilterra, in Francia, in Germania, in Grecia, in Argentina. Tutto il mondo, combatte contro questo nemico che è invisibile ma è più potente di una bomba perché cammina e contagia. 

Io sono stata una studentessa universitaria fuori sede e per anni ho vissuto lontano dalla mia famiglia e dalla mia terra. Per questo ora più che mai, cara Italia, ti prego di pensare ai miei coetanei, ai miei colleghi universitari, ai lavoratori e a tutti coloro che coscientemente sono rimasti nelle loro "città adottive" da soli, per cercare anche nel loro piccolo di evitare che quest'epidemia continuasse a dilagare. 

Cara Italia, 
ogni giorno dai nostri balconi, dalle nostre finestre, facciamo echeggiare il tuo inno e sventoliamo la tua bandiera. Molti dicono che non serve a niente, ma io non la penso così. Io abito in una piccola cittadina di provincia nel cuore della Sicilia e mi piace vedere ogni giorno nel mio quartiere la tua bandiera che sventola sul cielo azzurro della mia terra e mi piace anche sentire il tuo inno perché mi unisce a tutti i miei fratelli d'Italia. 
È un simbolo, è un gesto che ci aiuta a sperare, ci aiuta a non avere paura. I contagi, nella mia provincia, continuano ad aumentare e giorno dopo giorno, temiamo di non aver gli strumenti, il personale e le strutture sanitarie adatte per fermare questo nemico. 

Cara Italia, 
dopo questa tempesta, spunterà l'arcobaleno. Il nostro cuore ci metterà un po' a riprendersi, ciò che è successo non lo dimenticheremo facilmente, ma sono sicura che torneremo in strada a riabbracciarci e a colorare le città come abbiamo sempre fatto. 

Cara Italia, 
per ultimo volevo dirti che #andràtuttobene.

Una studentessa qualunque *
 

(* Silvia Vicari, siciliana, è iscritta al secondo anno di corso della laurea magistrale in Gestione di contenuti digitali per i media, le imprese e i patrimoni culturali (Ge.Co) alla facoltà di Lettere e filosofia, campus di Brescia)