Un momento con l'incontro con i filosofi di GazaÈ diventato “il” luogo chiuso per antonomasia. Ma, se muoversi col corpo è difficile, farlo col pensiero non costa nulla. Così, l’Università Cattolica di Milano, in collaborazione con il “Centro italiano di scambio culturale Vik” di Gaza, promotore del progetto, ha reso nota una realtà poco conosciuta ai più: Gaza è una città di filosofi, giovani e pronti al confronto, per non limitare i confini.

L’incontro “Thinking beyond the borders. Pensieri e immagini da Gaza”, organizzato nella sede di Milano - con la partecipazione degli studenti del master in Relazioni d’Aiuto in Contesti di Vulnerabilità della Cattolica e della facoltà di Scienze della formazione, e il sostegno della onlus Francesco Realmonte – ha dato spazio a una serie di tematiche care ai docenti Michele Lenoci e Cristina Castelli che lo hanno introdotto e moderato: multiculturalismo, coesistenza, superamento dei confini e delle barriere fisiche e culturali.

Il tutto in un contesto in cui i tre giovani filosofi gazawi, Shaban Al-Helou, Amani Rabah, Mohammad Jihad Ismael, tutti e tre rappresentanti del gruppo “Humanistic School of Philosophy”, invitati a tenere la loro lettura, rendevano conto della situazione nella Striscia. Com’è la vita dei giovani? Quali e quante possibilità ci sono di sviluppo personale e professionale, scolastico, educativo, accademico? È possibile manifestare un pensiero critico, oppure le costrizioni esterne e interne limitano la libertà e l’espressione del pensiero?

A Silvia Reitano, ex studentessa del master, con anni di esperienza come cooperante a Gaza, è stato affidato il compito di illustrare ciò che accade in quest’area: «Una difficile condizione di vita quotidiana, accompagnata da problemi concreti, come la mancanza di elettricità o di acqua potabile, che hanno conseguenze sul piano psicologico: a Gaza City sono molto diffusi problemi legati alla depressione e all’assunzione di droghe».

Shaban Al-Helou ha 27 anni, membro della “Humanistic  School” è ricercatore, attivista e analista politico: «Il futuro dei giovani gazawi non è molto felice. Gli studi su Gaza dimostrano che vivere qui è così difficile da sembrare noioso. In futuro i gazawi non avranno più terreno per coltivare o seppellire i loro morti. La nostra vita quotidiana è completamente condizionata dalla politica interna ed estera e dall’assenza di servizi primari. La politica non ci rende liberi ma complica la nostra condizione umana. Non siamo oppressi solo dallo stato di Israele ma anche dalle divisioni interne tra palestinesi e dall’influenza dell’Iran in queste aree. Siamo stati trasformati in topi di laboratorio per la politica».

Che tipo di prezzo si paghi a servizio di questa realtà “speriementale”, lo rende noto Amani Rabah, 26 anni, attivista e impegnata nel supporto a rifugiati e prigionieri politici: «Abbiamo un numero consistente di prigionieri palestinesi: più di 5.600 si trovano nelle carceri israeliane. Di questi 200 bambini e 14 donne sono trattenuti in celle di isolamento, in totale violazione degli accordi di Ginevra sui prigionieri politici».

Mohammad Jihad Ismael, direttore della “Humanistic School of Philosophy”, si concentra maggiormente sulla situazione scolastica nella Striscia: «A Gaza ci sono quattro università: qui facciamo lezione come si può. Ci sono studenti dalle capacità geniali ma non hanno l'opportunità di continuare i loro studi. In particolare, il problema più grande degli studiosi e dei ricercatori di fisica è quello di rompere il muro che separa l'accademia gazawi dal mondo del lavoro.  Molti studenti e ricercatori vorrebbero andare all'estero ma in pochissimi riescono. Queste persone hanno bisogno di sostegno morale e materiale».

In realtà, le partnership universitarie ci sono «ma con altri Paesi arabi, come la Malesia, la Libia, l’Algeria e solo nel caso di realtà non laiche e di scuole religiose», chiarisce Mohammad Jihad Ismael. «Altre istituzioni internazionali attualmente hanno un livello di collaborazione abbastanza basso rispetto alle nostre necessità».

In questo quadro poco confortante, resta da capire come la filosofia possa rappresentare una freccia in più all’arco del proprio incerto futuro. Mohammad Jihad Ismael non se lo fa ripetere due volte e prova a spiegarlo: «La filosofia è la base di tutte le scienze e le culture ed è la più correlata all’esperienza umana. Comprende l’identità, la condizione esistenziale, la scienza applicata, la geografia, la parola. In questo senso, in quanto “gruppo filosofico” unico a Gaza, noi non neghiamo nessuna esperienza filosofica, da Averroé a Mansour al-Hallaj fino all’esistenzialismo francese. Qualcuno a Gaza pensa che parlare di filosofia possa significare mettere in discussione l'esistenza di Dio e la legge coranica. Non è così. La filosofia è un mantello molto grande dentro cui c’è spazio per tutti».

Con questi presupposti si dovrebbe sviluppare a Gaza City il progetto di un media center di cui l’esperienza di “A window on Gaza” è il primo esperimento concreto.