Il bisogno di protezione avvertito dalla società, soprattutto dopo la grande recessione del 2008, è tornato alla ribalta. Questo, unito alla perdita di radicamento nel tessuto sociale dei partiti tradizionali, ha portato a una “rivolta della società” concretizzatasi nel clamoroso successo ottenuto dai movimenti populisti alle elezioni politiche del 2013 e del 2018.
 

 

Ed è proprio la “rivolta della società” a dare il titolo al saggio, edito da Laterza, di Francesco Tuccari, docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli studi di Torino, che, riprendendo e aggiornando la teoria del doppio movimento di Polanyi, propone una rilettura della Storia Italiana a partire dalla grande trasformazione del 1989. Il libro di Tuccari è stato la base da cui è partito il dibattito dell'appuntamento del 26 novembre del ciclo di incontri “Stato di emergenza” in cui l'autore ha dialogato con i professori della Cattolica Agostino Giovagnoli, docente di Storia contemporanea, e Damiano Palano, direttore del Dipartimento di Scienze politiche.

La grande trasformazione “2.0” - ha spiegato Tuccari - si discosta dalla grande trasformazione di cui Polanyi parla guardando alla crisi delle istituzioni liberali avvenuta negli anni ’30 del ‘900 in “risposta” all’avvento, nel secolo precedente, della società di mercato. Questo per il diverso ruolo attribuibile, nei due momenti storici, allo Stato.

 

Se l'epoca di cui tratta Polanyi è caratterizzata da una forte capacità di esercizio di difesa nei confronti della società ad opera dello Stato, tale capacità, data la sempre più preponderante centralità di attori sovra e transnazionali, è oggi andata in larga misura perduta.

 

Per Giovagnoli è opportuno partire dalla crisi dei partiti politici che, prodottasi nei primi anni ’90 in coincidenza con il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, ha in realtà iniziato a delinearsi ben prima, esplicandosi nell’incapacità dei leaders politici di farsi carico di molti problemi del tempo. È necessario dunque - afferma Giovagnoli - porre l’accento sulla crisi della società intesa come corpo unitario che lega Stato e tessuto sociale attraverso l’azione partitica.

 

Riferendosi alla Seconda Repubblica, Tuccari parla di post-democrazia riprendendo il neologismo coniato da Crouch. Alla posizione di quest’ultimo, che riconduceva la possibilità di un ritorno alla piena democrazia ad una questione di volontà e cultura politica, Tuccari oppone una visione più pessimista: «ci troviamo dinanzi a un momento di passaggio, non possiamo più ragionare in termini di Stato nazione, di Stato sovrano e i partiti falliscono».

 

Al bipolarismo moderato, sostrato della democrazia consensuale della Prima Repubblica, fa quindi da contraltare una Seconda Repubblica populista contraddistinta da un bipolarismo esasperato che genera, secondo Giovagnoli, forze politiche che fondano la propria azione sulla delegittimazione dell’avversario.

 

Una grande novità nel panorama italiano, dice inoltre Tuccari, è stata rappresentata dall’affermarsi del populismo vittorioso del Movimento Cinque Stelle. Se in riferimento alle forze politiche fino a quel momento esistenti si poteva parlare di “stile populistico”, il Movimento Cinque Stelle va oltre configurandosi come “populismo allo stato puro”.

 

In un contesto siffatto, le culture politiche della Prima Repubblica sono destinate a rimanere marginali. Giovagnoli ha sottolineato tuttavia l’importante ruolo svolto dalla figura del Presidente della Repubblica quale punto di riferimento, custode e sintesi della cultura istituzionale elaborata dai partiti tradizionali e Tuccari confida che l’esperienza della pandemia conduca alla “riscoperta della politica di professione, facendo venir meno l’oscillazione del pendolo tra tecnocrazia e populismo”.

 

Quanto al destino delle democrazie occidentali, infine, Giovagnoli e Tuccari hanno ricordato rispettivamente «la necessità di far leva sull’Unione europea, strumento cruciale per orientare la globalizzazione» e «la fiducia nel generale miglioramento della società seppur in forme diverse e nel quadro di un generale pessimismo in relazione alla democrazia per come l’abbiamo fino a ora conosciuta».