Una lezione sull’hate speech. A tenerla a una platea di insegnanti è una testimone d’eccezione: Liliana Segre. La senatrice a vita ha parlato ai partecipanti della Winter school Letteratura italiana: Percorsi di cittadinanza e costituzione, promossa dal Centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’Italia unita” e dal Dipartimento di Italianistica e Comparatistica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore nelle giornate di giovedì 13 e venerdì 14 febbraio nell’Ateneo di largo Gemelli.

Accolta da un lungo e caloroso applauso dei circa 70 insegnanti presenti nella Sala Negri da Oleggio, la testimonianza di Liliana Segre – accompagnata in aula dal pro rettore vicario Antonella Sciarrone Alibrandi e dalla professoressa Milena Santerini, coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo – è stata resa ancora più toccante e significativa dalla lettera di uno studente di Afragola consegnata da uno degli insegnanti della Winter School. A leggerne alcuni stralci Giuseppe Langella, docente di Letteratura italiana e comparata in Cattolica e tra i coordinatori del corso. “L’insulto e il veleno sono ormai abitudine, ne siamo assuefatti. Non c’è più dialogo fra le persone chi ha potere sull’altro s’impone, censura, mette a tacere. In questo modo la paura rimasta inascoltata diventa rabbia, la rabbia diventa odio, l’odio diventa violenza. E quando la violenza sopraggiunge non c’è più necessità di un confronto, si vuole avere ragione a tutti i costi e pur di ottenerla si ricorre alla sopraffazione. Pensando al futuro viene da credere che siano bui i tempi che ci aspettano e tuttavia lei mi rammenta che c’è una speranza”.   

Una parola, quella della speranza, che ritorna più volte nell’intervento di Liliana Segre dedicato al tema “Dall’articolo 3 al hate speech: discorsi d’odio ai tempi della rete”. «Spero di avere fatto il mio dovere e di avere seminato abbastanza attraverso i miei incontri pubblici che quest’anno sospendo essendo arrivata al mio novantesimo anno di età».

Perché «la negazione dei fatti è molto grave e la vedo come un grandissimo pericolo per il futuro visto che le voci dei diretti testimoni si stanno spegnendo, una dopo l’altra...».

Il timore di Liliana Segre è che «nel giro di pochi anni saremo morti tutti, solo in Italia restano 5 sopravvissuti, poi non ci sarà più nessuno. Ci saranno studi, i nostri figli, i nostri nipoti e poi ci sarà solo una riga nei libri di storia, ammesso che la storia si continui a studiare. Poi neanche più quella. E questa è una cosa molta amara non tanto per noi sopravvissuti ma per quelli che sono morti invano, morti senza tomba, per la colpa di essere nati, morti per i quali l’articolo 3 della Costituzione ancora non c’era stato e non aveva dato importanza a ogni uomo».

C’è un altro pericolo che preoccupa Liliana Segre ed è quello della rete, resa ancora più insidiosa da «questa sua possibilità enorme di raggiungere soggetti che non sono preparati a scegliere con la loro coscienza ma vengono addirittura annegati dalla quantità di notizie».

Secondo la senatrice a vita «è difficile difendersi dalla rete: i seminatori di odio sono a tutti i livelli nei confronti di politici, religiosi, attori, artisti e anche nei confronti di una come me che a questa età si trova ad avere degli odiatori che mi scrivono: “Quando smetterai di raccontare la tua bugia?”». Ed è qui che il negazionismo trova terreno fertile «perché è più bello e comodo negare e credere che Auschwitz non sia esistita».

L’antidoto all’odio della rete? Predicare ai ragazzi delle scuole l’«amore per la vita» e «trasmetterlo ai miei nipoti ideali affinché abbiano la forza di andare avanti», sostiene Liliana Segre. Ma nello stesso tempo seguire le «parole straordinarie, intelligenti, acute, antiretoriche di Primo Levi: “Comprendere è impossibile, ma conoscere è necessario”», chiedendo agli insegnanti di trasmettere questo messaggio agli adolescenti perché «solo con i giovani, con il loro aiuto ci sarà la speranza di tramandare la memoria».