Uscire dal circolo chiuso, fare rete con le altre realtà del settore, accettare e seguire la regia proposta dalle istituzioni cittadine. Creare un network aperto, fare sistema. È questa una delle possibili strategie suggerite per far uscire il mondo della moda milanese dalla situazione di stallo che sta avvolgendo quello che da sempre è considerato uno dei fiori all’occhiello di Milano a livello mondiale.

Se ne è parlato, durante un vivace dibattito, nella seconda sessione della giornata inaugurale di Fashion Tales,  il convegno internazionale promosso dal Centro di ricerca Modacult in collaborazione con il Comune di Milano. E proprio la situazione del settore nel capoluogo lombardo è stato il tema principale della tavola rotonda “Moda come cultura a Milano. Nuovi progetti”. Un titolo che promuove anche uno dei principali obiettivi della rassegna: restituire dignità a un mondo, quello della moda, troppo spesso guardato con sufficienza dal mondo politico e accademico, quando invece rappresenta un elemento chiave per il settore economico e soprattutto culturale del nostro Paese.

Ad aprire il dibattito sono state tre videointerviste realizzate da Emanuela Mora, docente della facoltà di Scienze Politiche e moderatrice della tavola rotonda – a tre big come Brunello Cucinelli, Franco Mantero e Ilaria Venturini Fendi.

 

 

 

Per l’assessore alla Cultura, Moda e Design del Comune di Milano Stefano Boeri «uno dei problemi del settore della moda è che non è in grado di raccontare gran parte di ciò che riesce a fare e produrre. Questa è una grande carenza. Spesso questo è un mondo che viene rappresentato da pochi ‘eroi’, un’immagine che crea miti ma che non fa breccia nel mondo della cultura. Come amministrazione – ha concluso– noi appoggiamo tutte le iniziative che mirano a creare degli spazi pubblici per promuovere la moda come dimostrano le esperienze della Fiera e dell’Ansaldo».

Un’altra parola chiave è heritage. A ricordarla il direttore di Wired Carlo Antonelli: «Le case di moda se ne occupano poco, per loro il grande bagaglio culturale accumulato non è una risorsa da cui attingere come invece dovrebbe essere. Inoltre – ha aggiunto – la moda deve tornare ad essere popolare nell’accezione letterale del termine. Gli eventi sono quasi sempre ristretti alla solita elite di 4-500 addetti ai lavori. Un errore».

«Attenzione però - ha avvisato Boeri -  la nostra attenzione a questo settore non deve portare a una confusione di ruoli. Risolvere la crisi della creatività non è infatti compito della politica. Noi possiamo appoggiare e dare spazio a iniziative e progetti ma il resto del lavoro deve farlo il mondo della moda».

L’importanza dell’archivio come giacimento ovvero il mettere i materiali del passato al servizio delle creazioni del futuro è stato uno degli argomenti più discussi della giornata. Rilanciato nella sua intervista da Franco Mantero questo modus operandiè stato ripreso anche da numerosi relatori che ne hanno sottolineato l'importanza  ricordando coome nella sua lunga storia a Milano hanno lavorato, in epoche diverse, geni come Leonardo da Vinci e Gio Ponti. «Ma attenzione – ‘graffia’ Pierluigi Sacco, docente di Economia della Cultura allo Iulm – il termine ‘giacimento’ indica un deposito fermo, inerte, destinato ad esaurirsi. Se continuiamo a guardare al passato senza creare un pensiero nuovo, figlio dei nostri tempi, l’unico messaggio che lasceremo ai posteri sarà quello di esser stati i nipoti scemi di cotanta genialità».

Un altro problema emerso è quello relativo all’involuzione dei talenti nostrani: «Sono trent’anni che l’Italia non sforna più creativi di livello mondiale - ha sottolineato Carlo Capasa, amministratore delegato di Costume National – i nomi alla fine sono sempre quelli, non c’è ricambio generazionale. Tutti, compreso il mondo accademico, dovrebbero fare una riflessione e un po’ di sana autocritica».

A rispondere ci ha pensato Paola Bertola, docente di Disegno industriale del Politecnico di Milano che ha ricordato come «il mondo accademico in realtà si sia già messo in discussione e si sta attivando, una dimostrazione è proprio questo convegno che ci permette di trovarci, confrontarci e discutere. Purtroppo in Italia per noi accademici – ha concluso – è molto difficile far passare la moda come elemento culturale. Ma la grande partecipazione di questi giorni ci rinfranca e ci conforta a proseguire su questa strada».