«La fortuna di lavorare in un’agenzia di relazioni pubbliche all’interno di un grande gruppo è quella di poter vedere il mondo della comunicazione a 360 gradi». Laura Lenhardt, da quattro anni in Havas PR, agenzia internazionale che fornisce consulenza per strategie di comunicazione corporate e brand in Italia e all’estero, è stata la protagonista lunedì 16 novembre del terzo incontro del ciclo “Gli scenari e le professioni della comunicazione”, dedicato, questa volta, alle digital Pr e all’influencer marketing.

Dopo un quadro generale delle principali attività dell’agenzia – la cura dell’aspetto consulenziale, strategico ed esecutivo delle campagne di comunicazione - Laura Lenhardt ha spiegato ai ragazzi che cosa significa fare influencer marketing nel settore delle Pr -  «crediamo nel racconto di contenuto che si può costruire intorno a un brand e nella relazione»- per entrare poi nel vivo del flusso di lavoro, dallo scouting degli influencer fino alla misurazione dei risultati.

Come si individuano gli influencer giusti? «Nella scelta che facciamo per una campagna di comunicazione guardiamo sempre al loro modo di parlare e di coinvolgere la community - racconta Lenhardt – al di là dei numeri, cerchiamo di trovare dei personaggi che siano in grado di interpretare in modo corretto il tone of voice di un brand specifico. Alcuni big – continua -  generano visualizzazioni da capogiro, ma non ‘spostano’ niente. Altri, più piccoli, riescono a muovere un’opinione».

Non esistono solo influencer alla Ferragnez maniera. Psicologi, medici, o addirittura consulenti del lavoro, sono capaci di condizionare un’opinione in un determinato settore. «Ecco perché – dice Lenhardt - oggi si tende a parlare sempre più di Key Opinion Leader. Tra i top, testimonial veri e propri come le celebrities del cinema, e i nano e micro influencer – che consolidano la presenza di un brand all’interno di una strategia complessiva – si collocano i Key Influencer, creator di contenuti a tutti gli effetti».

Non solo product placement, dunque. La bravura sta nel raccontare storie. Tra gli esempi più riusciti cita una campagna dedicata a uno smacchiatore: «Abbiamo chiesto ad alcuni influencer di divertirsi a dipingere una maglietta bianca per poi dimostrare l’efficacia del detersivo con il lavaggio. Il risultato è stato un mix di episodi molto divertenti».

Se il primo dei macro-obiettivi per i brand che scelgono di fare influencer marketing è quello di farsi conoscere, il secondo è sicuramente ottenere dei risultati concreti e misurabili. Che cosa mi porterà questo investimento? Più vendite? Aumento del numero di follower? Più traffico sul mio sito? Gli effetti si misurano attraverso i cosiddetti KPI, acronimo di Key Performance Indicator. Il numero di utenti raggiunti (reach) o il totale delle visualizzazioni di un post sui social network (impressions), così come il numero di persone che approdano sul sito di un’azienda grazie a un link o gli acquisti fatti con un codice promozionale sono tutti indicatori di performance che restituiscono bene il valore dell’investimento.

Ma veniamo alla questione cruciale: dove si cercano gli influencer? «La parte di scouting avviene attraverso dei tool specifici o piattaforme di social listening come Virality e Socialbakers - spiega Lenhardt – questi strumenti permettono di impostare meccanicamente una ricerca in base a dei parametri, come target o geolocalizzazione, restituendo una lista di potenziali influencer con relativa fanbase. Ma – precisa – questo è solo un primissimo passo, poi intervengono l’occhio umano e l’esperienza personale».

Alla domanda di una studentessa su quali siano le competenze per fare questo mestiere, Lenhardt risponde: «Spirito di osservazione e curiosità. Poi una base umanistica, nozioni di comunicazione e marketing aiutano, ma non per forza è necessario arrivare da percorsi formativi legati alla comunicazione».

Così come è vero il contrario, conclude la professoressa Barbara Scifo, moderatrice del webinar: «Studiare Comunicazione potrà aprirvi anche strade inaspettate, perché i percorsi professionali non sono necessariamente lineari». E ai ragazzi quindi ricorda: «non precludetevi alcuna possibilità, lasciate sempre aperte tutte le porte».