«Non c’è niente di male se il debito pubblico cresce. Il problema è quando cresce più rapidamente della dimensione dell’economia, cioè del Pil che misura quanto viene prodotto in un anno dal Paese». Parola di Carlo Cottarelli. Da ottobre 2017 l’ex dirigente del Fondo monetario internazionale è direttore all’Università Cattolica dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, un centro studi scientificamente autorevole, costituito per fornire informazioni sull'andamento della finanza pubblica e promuoverne la trasparenza.

«Il debito pubblico è costituito dalla somma di tutti i prestiti che lo Stato ha contratto in passato e che ancora sono in essere» spiega Cottarelli. «Lo Stato si indebita vendendo titoli a famiglie, imprese, banche, fondi di investimento, italiani e stranieri, che danno soldi allo Stato ricevendo in cambio un documento che attesta il prestito: i titoli di Stato appunto, come per esempio Bot e Btp. Questi hanno diverse scadenze: sei mesi, dodici mesi, fino a diversi anni. Passato questo tempo, cioè quando il titolo giunge a scadenza, lo Stato deve restituire i soldi a chi glieli ha prestiti, a meno che gli investitori siano disposti a rinnovare il prestito comprando titoli di stato di nuova emissione».

Come si è formato un debito pubblico così massiccio nel nostro Paese? «Il debito si forma perché lo Stato non ha abbastanza entrate per coprire le proprie spese, cioè quando ha un deficit. Se spende 100 ma le sue entrate, tramite tasse, sono solo 90, il resto deve essere preso a prestito e crea un debito. Il debito continua a crescere finché c’è un deficit che lo alimenta di anno in anno».

Bisogna preoccuparsi quando cresce troppo? «No, il problema è quando cresce più rapidamente della dimensione dell’economia, cioè del Pil che misura quanto viene prodotto in un anno dal Paese».

Come è successo in Italia… «Sì, il rapporto tra debito pubblico e Pil è cresciuto negli anni ’70 e ’80 perché si era aperto un grosso divario tra spese pubbliche, che crescevano, ed entrate pubbliche, che non erano state alzate in tandem con la crescita della spesa. All’inizio degli anni ’90 il debito era già sopra il 120 per cento del Pil, contro il 30 per cento alla fine degli anni ’60. Da allora non siamo più riusciti a ridurlo di molto. Anzi, è cresciuto ulteriormente: ora siamo al 131 per cento».     

Che cosa indica e quanto conta il rapporto debito pubblico/Pil per la crescita del Paese? «Più è alto il debito pubblico più cresce il rischio che lo Stato non sia in grado di ripagare chi gli ha prestato soldi. Questo rischio fa aumentare il tasso di interesse che gli investitori richiedono per prestare allo Stato. Quando questo tasso cresce troppo l’economia ne soffre».

Quali scenari si possono aprire? «Potrebbe diventare difficile anche per famiglie e imprese prendere a prestito. Però, anche in assenza di una crisi di sistema, molti economisti pensano che un debito pubblico elevato possa danneggiare l’economia perché sottrae risorse che potrebbero essere utilizzate per far crescere l’investimento privato. Il che è essenziale in un’economia di mercato come la nostra.

Ci sono rischi per i risparmi dei cittadini? «Il risparmio potrebbe essere dirottato verso finalità che non sono utili alla crescita. In sostanza, non bisogna esagerare. Un po’ di debito pubblico fa bene all’economia, soprattutto se va a finanziare investimenti pubblici. Il problema è quando ce n’è troppo».