Con questo articolo proseguiamo il dibattito - aperto il 18 giugno dall’intervento su Cattolici e politica del professor Agostino Giovagnoli - a cento anni dall’appello di don Luigi Sturzo “agli uomini liberi e forti”. Un manifesto che, anche un secolo dopo, non ha perso il suo smalto e la sua freschezza. 

di Vittorio Emanuele Parsi *

C’è una profonda attualità nell’appello lanciato cento anni fa ai “liberi e forti” da don Sturzo, che evidentemente non sta nella tentazione antistorica e intempestiva della creazione di un nuovo “partito dei cattolici italiani”. Alla conclusione di un sanguinoso conflitto, che chiudeva definitivamente un’epoca senza riuscire compiutamente a inaugurarne un’altra, Luigi Sturzo poneva una questione che oggi ritorna a chiedere di essere affrontata: come far convivere la sovranità delle nazioni in un sistema che fondasse una “pace giusta e durevole”? Ovvero, ancora nelle sue parole, come “trovare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali e le perenni ragioni del pacifico progresso della società”?

È la sfida alla quale il progetto dell’ordine liberale internazionale ha cercato di offrire una risposta nel corso della seconda parte del Novecento, a partire dall’intuizione wilsoniana e poi nell’evoluzione concepita da F.D. Roosevelt durante la II guerra mondiale e costruito dopo il 1945. Si è trattato di un ordine parziale e limitato, che però coglieva l’urgenza di limitare contemporaneamente gli “errori” della sovranità statale e quelli del mercato, incanalandone le rispettive energie in eccesso in un fitto reticolo di istituzioni internazionali, che rendessero la cooperazione tra gli Stati possibile e vantaggiosa.

Era un progetto consapevole della necessità che tanto lo Stato quanto il mercato dovessero diventare “inclusivi”, offrire opportunità concrete di rappresentanza, sviluppo e crescita alle classi subalterne, rendendo “popolari” l’uno e l’altro attraverso la creazione di un solido e diffuso ceto medio.

Guardiamoci intorno e osserviamo come la trasformazione del mercato in una “istituzione totale” abbia progressivamente rotto quell’equilibrio evocato da Sturzo e contenuto nel progetto di Wilson. In questo senso, l’appello ai liberi e forti torna attuale. Oggi occorre ricostituire un ordine internazionale che non si illuda di poter trovare scorciatoie verso il bene comune immaginando il superamento della sovranità dello Stato o confidando nella capacità autoregolativa del mercato. È necessario invece riaffermare con forza che tanto la politica quanto l’economia sono strumentali rispetto alla ricerca della felicità e della centralità umana, intese nel loro senso più completo e profondo. Ancora una volta bisogna chiarire che il popolo è un corpo costituzionale e non un soggetto politico, di cui nessun partito e nessun leader può intitolarsi l’esclusività della rappresentanza o il monopolio dell’interpretazione. È infine decisivo, oggi come cento anni fa, ribadire con sereno coraggio che le culture politiche non sono tutte equivalenti le une rispetto alle altre e che sviluppo, pace e libertà e democrazia non possono essere garantiti attraverso ideologie che alimentino l’odio, la paura, la chiusura e la discriminazione. 

* docente di Relazione internazionali alla facoltà di Scienze politiche e sociali e direttore dell'Alta Scuola Economia e Relazioni internazionali (Aseri)


Secondo articolo di una serie dedicata ai cento anni dall'Appello ai liberi e forti di don Luigi Sturzo