Con questo articolo proseguiamo il dibattito - aperto il 18 giugno dall’intervento su Cattolici e politica del professor Agostino Giovagnoli - a cento anni dall’appello di don Luigi Sturzo “agli uomini liberi e forti”. Un manifesto che, anche un secolo dopo, non ha perso smalto e freschezza. 

di Maria Bocci *

La storia non dovrebbe essere strumentalizzata dall’attualità. Il passato ha un suo spessore, ha una sua “diversità” che va capita e ne aumenta il fascino. E tuttavia, di fronte all’«Appello agli uomini liberi e forti» è difficile non farsi catturare dalla potenza del richiamo e dalla capacità propositiva. Oggi come allora, del resto, il passaggio di secolo si rivela insidioso, al punto che spiegando in un’aula universitaria i primi vent’anni del Novecento ti senti chiedere se stai alludendo al presente. Le differenze sono tante, ma ci sono anche le assonanze, dalla sfiducia nella democrazia rappresentativa alla crisi economica e alla difficoltà a vivere insieme in Europa. Non manca, purtroppo, il fascino per l’«uomo forte», una sorta di taumaturgo delle angosce collettive; né mancano gli attentati a giustizia e libertà che minacciano la pace, mentre la vecchia classe dirigente ha tutta l’aria di essere spiazzata.

Sturzo, però, ha intrapreso con coraggio la sua avventura: l’equilibrio di valutazione non ostacola la sua partecipazione alla costruzione della casa comune. Non ci sono vittimismi né «vittorie mutilate» nella sua prospettiva, non c’è quel senso di inferiorità che genera nazionalismi esasperati, causa di tanti guai nella nostra storia. Né c’è strumentalizzazione della fede a fini politici, semmai benintesa laicità. Con l’Appello del ’19 i cattolici passano dalla protesta alla proposta e si rivolgono a tutti i cittadini italiani: tanto è vero che invocano il voto alle donne, che durante la guerra hanno sostenuto il Paese in mille modi. Ricacciarle nel privato significherebbe privarsi di risorse indispensabili alla ripresa italiana.

L’avventura di Sturzo non è solo il punto di partenza di una storia interrotta dal fascismo. È il tornante decisivo di un percorso che può contare su risorse sociali vivaci, valorizzate dal programma popolare. Impegno amministrativo, fitta rete di attività sociali e iniziative per i lavoratori hanno mobilitato tante energie cattoliche tra Otto e Novecento. Lo sviluppo economico e le capacità educative del Paese ne hanno guadagnato. Sturzo crede in una democrazia «sostanziale» perché crede nella libertà e nelle forze positive della società e della persona. Sono conquiste che il Novecento ha dovuto riguadagnare a caro prezzo e di cui oggi si fatica a capire la portata. È molto facile far politica contro qualcuno; Sturzo, invece, fa politica per qualcosa, un programma che ha alle spalle decenni di presenza operosa nella società civile: un po’ il contrario – verrebbe da dire – della desertificazione sociale prodotta dal fascismo, che lascerà al secondo dopoguerra il gigantismo della politica e dei partiti di massa, con le conseguenze che sappiamo.

Siamo ancora capaci di valorizzare la creatività dei singoli e dei gruppi? La politica – nazionale ed europea – può essere (e lo è stata) tentativo di plasmare la società in base a modelli di derivazione ideologica; oppure può valorizzare esperienze positive ed energie creative che non sono venute meno. È la strada, forse, per rimettere in moto dinamiche di fiducia; e senza fiducia è difficile costruire né si può stare insieme. Le alternative – lo ha insegnato il Novecento – non sono augurabili.

* docente di Storia del mondo contemporaneo alla facoltà di Scienze della formazione e direttrice del dipartimento di Storia dell'economia, della società e di Scienze del territorio «Mario Romani»


Quarto articolo di una serie dedicata ai cento anni dall’Appello ai liberi e forti di don Luigi Sturzo. Domani l’intervento del professor Aldo Carera