Dal 18 al 21 giugno a Milano si tiene il convegno nazionale della Società Italiana di Statistica Smart phone, smart tv, smart watch, smart cities che ha per presidenti del comitato organizzatore Giuseppe Arbia e Giulia Rivellini. Ad aprire il Fuoriconvegno è stata la tavola rotonda “Sondaggi politici e previsioni elettorali nel mondo dei big data” dove sono intervenuti alcuni tra i più noti sondaggisti in Italia. Da Nando Pagnoncelli a Ilvo Diamanti, da Stefano Maria Iacus a Renato Mannheimer

di Nando Pagnoncelli *

Le previsioni dei sondaggi per le recenti elezioni europee, di tutti gli istituti, sia pur in misura in qualche caso anche sensibilmente differente, sono risultate spesso inaccurate e lontane dalla realtà. In particolare è risultato sottostimato in Italia il risultato della Lega (accreditato di un 31% dalla media dagli istituti di ricerca avendo, invece, realizzato il 34.3 %) e sovrastimato quello relativo al Movimento 5 Stelle (per il quale la previsione media è stata del 22.5 % realizzando invece solo, in realtà, il 17.1 %). Il gap tra stime e risultati effettivi per gli altri partiti è stato in molti casi considerevole. Cerchiamo di capire perché.

Nei periodi caratterizzati da grandi cambiamenti i sondaggi pre-elettorali presentano un paradosso: mentre aumenta l’aspettativa di conoscere in anticipo l’esito del voto, essi risultano decisamente meno precisi del solito. La storia recente ci ha mostrato esempi clamorosi di sondaggi che non riescono ad anticipare risultati elettorali. Si pensi, ad esempio, al referendum sulla Brexit in Inghilterra, alla vittoria di Trump nelle ultime elezioni presidenziali statunitensi o al referendum in Colombia sull’accordo con le FARC.

Perché ultimamente i sondaggi non “ci azzeccano”? Le ragioni metodologiche c’entrano solo in parte: i principali istituti demoscopici da tempo diversificano i metodi di rilevazione, alle interviste realizzate ai numeri di telefono fissi si aggiungono quelle realizzate presso campioni di possessori di cellulare; talora le interviste telefoniche vengono integrate da interviste online per poter raggiungere i segmenti più dinamici della popolazione, solitamente più difficili da intervistare; nella maggior parte dei casi i campioni sono ben strutturati e di numerosità adeguata, sebbene i tassi di rifiuto riducano la loro rappresentatività; infine i modelli di ponderazione sono costantemente affinati e le tecniche quantitative sono sempre più spesso affiancate da ricerche motivazionali che consentono di comprendere le opinioni degli elettori. Per quanto ci riguarda, Ipsos PA da sempre presidia gli aspetti metodologici, adotta strumento innovativi (mobile e neuroscienze solo per fare esempi molto recenti) e investe per migliorare l’affidabilità delle stime. A tale proposito, già nel 2008, su proposta e con il coordinamento del team italiano, abbiamo promosso un confronto tra le diverse divisioni PA del gruppo sui molteplici aspetti metodologici e le difficoltà che si incontrano nella realizzazione delle stime elettorali. Ne è originata una pubblicazione interna che viene periodicamente aggiornata. 

Le ragioni principali dell’imprecisione dei sondaggi recenti sono tre, strettamente interconnesse tra loro. Innanzitutto, a differenza dagli altri paesi nei quali i partiti sono quasi sempre gli stessi, in Italia l’offerta politica cambia continuamente e si moltiplica: nascono nuovi soggetti politici, altri scompaiono o si alleano tra loro. 

In secondo luogo, negli ultimi anni sta aumentando fortemente l’infedeltà degli elettori, complici la disaffezione, i sentimenti di antipolitica e la domanda di cambiamento: nelle recenti tornate elettorali in Italia si sono registrati tassi di infedeltà tra i più elevati a livello europeo. Ciò significa che il voto “di appartenenza” si è fortemente indebolito, molti elettori prendono in considerazione più di un partito, sono realmente indecisi, rinviano la loro scelta agli ultimi giorni. Prevale il voto d’opinione e si impone una nuova categoria di voto: il voto “d’impulso”. Infine, non tutti gli elettori intervistati sono disponibili a confessare il tradimento del partito votato in passato, soprattutto se la scelta ricade su un partito fortemente antagonista rispetto a quello di provenienza: è un atteggiamento molto frequente in un contesto di grande mobilità elettorale. Quest’ultimo aspetto influenza anche le stime degli exit polls che ancora una volta nelle recenti elezioni europee si sono rivelati poco precisi. D’altra parte, i sondaggi non vengono (ancora) effettuati con la macchina della verità. 

In definitiva, i campioni di elettori intervistati riproducono su scala ridotta queste dinamiche nazionali. In un contesto di elevata mobilità ed indecisione è pura illusione immaginare che tutti gli intervistati abbiano scelto per chi votare, lo confessino candidamente e, soprattutto, abbiano opinioni fisse ed immutabili. 

Anche se viviamo in un paese nel quale il giro d’affari di maghi, astrologi e cartomanti è stimato in 8,3 miliardi di euro, dobbiamo farcene una ragione: i sondaggi non sono oracoli. 
Tuttavia, in questo scenario di grande incertezza emergono due grandi certezze. La prima: la politica non può fare a meno dei sondaggi, per conoscere i propri elettori, per conquistarne di nuovi, per capire quali bisogni esprimono, per misurare il consenso e verificare la sintonia, prima di adottare un provvedimento o dopo aver adottato misure impopolari. 

In secondo luogo, dopo questo polverone sui sondaggi, quando si sarà depositata la polvere, gli stessi acerrimi denigratori di oggi riprenderanno ad interpellare gli inetti “sondaggisti” per conoscere gli orientamenti di voto o per sapere “quanti voti sposta” questo o quell’episodio come se gli elettori modificassero le loro opinioni con riflessi pavloviani e, soprattutto mantenessero le loro scelte stabili fino al giorno del voto. Di fronte a questo scenario cosa faremo? Disponiamo di un team di altissimo livello qualitativo, competente e motivato (nonostante tutto), quindi continueremo a studiare e ad investire tempo ed energie nel tentativo di “modellizzare” quanto avvenuto in questi anni di cambiamenti. E stiamo pensando seriamente di diradare fortemente la pubblicazione delle stime elettorali. Facciamo un lavoro molto utile e molto apprezzato dai clienti, un lavoro che, però, rischia di venire screditato perché il principale (o l’unico) parametro di valutazione della reputazione pubblica è rappresentato dalla precisione delle stime. Ne vale la pena? Riportiamo il sondaggio alla sua funzione principale: conoscere e interpretare la società, non prevedere il futuro. I clienti principali per cui lavoriamo potrebbero non essere d’accordo ma faremo di tutto per convincerli. In fondo, è anche nel loro interesse.  

*docente di Analisi della Pubblica opinione in Università Cattolica e Presidente Ipsos