di Andrea Maria Locatelli *

La periferia è da sempre questione urbanistica e oggetto di politiche sociali. La caduta delle protezioni pubbliche, più o meno marcata nelle differenti realtà nazionali, ha inciso profondamente sulla geografia delle diseguaglianze, facendo riemergere un disagio sociale che si pensava superato e che costituisce una sfida rilevante per la stessa tenuta della convivenza civile.

In questo contesto, non rientra solo il tanto dibattuto tema dei flussi migratori ma anche le condizioni e le prospettive di vita dei “cittadini” figli della società industriale. Le periferie urbane ed esistenziali delle nostre città hanno a che fare con la crisi e le prospettive future della cosiddetta “classe media”, residente per nascita sul territorio e che subisce negativamente e più di altri i processi di innovazione tecnologica nel mondo del lavoro e la stagnazione dei redditi. Una lettura dei fatti e delle condizioni, meno contingente nel tempo e più ampia nelle prospettive, coglie anche il collegamento tra la crisi del sistema educativo e il consolidarsi di forme di degrado sociale. La risposta a questa negativa connessione sociale non trova certamente alimento nella polemica di questi anni fra pubblico e privato nella scuola. 

Un approccio esaustivo e penetrante non può non tenere in considerazione il ruolo dei vari attori sociali in specifici contesti e luoghi, ben sapendo che l’attuale società tende a valutare negativamente tale ruolo di intermediazione tra l’individuo e le istituzioni. La ricostruzione storica e l’analisi con varie metodologie offre l’opportunità di cogliere come l’inclusione e l’innovazione sociale nelle periferie si leghino strettamente all’azione dei corpi intermedi, da quelli istituzionali al “terzo settore”, con la capacità di leggere i segni del territorio, di far convergere energie in progetti, di rappresentare l’istituzione garantendo la prossimità. 

Uno sguardo di lungo periodo e una riflessione più sistemica permette di cogliere come la questione sociale nelle periferie urbane sia legata all’affermarsi della società industriale e poi divenire oggi effetto controverso della società post – industriale. L’affermarsi della “rivoluzione tecnocratica” e la crescente inefficienza nella distribuzione del reddito, insieme al ridimensionamento del sistema di welfare, nelle società “neo-liberiste” hanno riacutizzato la connessione negativa tra il disagio sociale e la periferia. Prendendo a prestito un insegnamento di Papa Francesco le periferie urbane contemporanee sono uno degli “scarti” del sistema economico-sociale. Nella dimensione pluriforme e, nello stesso tempo così fluida della città di oggi, la periferia urbana coincide quasi sempre con la “periferia esistenziale”. 

Per l’Europa e per le aree che hanno percorso l’integrazione con i modelli sociali ed economici dell’Occidente è possibile una riflessione di lungo periodo e tra differenti prospettive sul rapporto tra sviluppo socio-economico e processi di costruzione della cittadinanza a livello europeo nonché sulle risposte che le istituzioni e le forze sociali sono state, e sono, in grado di dare alle nuove sfide della cittadinanza e della coesione sociale, anche in termini educativi. Per comprendere le attuali dinamiche è utile continuare a interrogarsi sulle politiche per questi specifici territori ma è altrettanto necessario dare peso allo specifico contributo delle forze sociali e delle reti associative, come individuare le iniziative di innovazione sociale anche in periodi di austerità e di contrazione delle risorse finanziarie disponibili. 

* docente di Storia economica, facoltà di Economia dell'Università Cattolica