Chi si trova a fronteggiare una realtà drammatica, come apprendere di essere affetto da una malattia neoplastica, deve potere contare anche su un aiuto di tipo psicologico costituito da una figura professionale che lavora in stretta collaborazione con l'equipe oncologica della struttura ospedaliera.

Nella fase diagnostica, il problema della comunicazione della diagnosi è sempre di estrema delicatezza. Poi subentra quello della gestione dell'iter successivo. Per il paziente inizia una nuova fase di vita dove cambia il suo ruolo sociale, quello familiare e quello personale della propria identità, per cui il supporto psicologico diventa indispensabile. Come sostenere adeguatamente il paziente oncologico, la cui sofferenza fisica è aggravata da un profondo e doloroso disagio psicologico? Oggi le tecniche di terapia di gruppo di supporto si sono dimostrate particolarmente efficaci nell'aiutare il paziente a sostenere l'ansia, la tristezza, la depressione, il dolore fisico e la messa in discussione del proprio ruolo sociale, che inevitabilmente accompagnano il progredire della malattia.

Una tecnica innovativa, che affronta il disagio attraverso il racconto del malato oncologico e l’interpretazione da parte del terapeuta, sarà presentata da Domenico Arturo Nesci, coordinatore dei corsi e dei master in Psico-Oncologia dell’Università Cattolica di Roma, diretti dal professor Achille Cittadini, al Congresso della Società Italiana di Psico-Oncologia (Sipo), che si svolge a Senigallia (Ancona) da giovedì 1° a sabato 3 ottobre 2009, con un intervento sulle “Libere associazioni sui sogni e sull’immaginario collettivo della malattia oncologica”.

«Si tratta di una tecnica ideata, messa a punto e sperimentata da me e dal mio gruppo al Policlinico “Agostino Gemelli” – anticipa Domenico Arturo Nesci -  per migliorare la capacità di comunicazione degli operatori sanitari impegnati nella cura dei malati di cancro e nel supporto psicologico ai loro familiari. Di sera proiettiamo a un large group di operatori sanitari un film in cui la malattia è il personaggio principale della vicenda (un “cancer movie” per dirla con un termine della cinematografia americana). La mattina successiva ci rivediamo nella stessa aula per raccontarci i sogni della notte, stimolati dalla visione del film. In pratica il “workshop cinema e sogni” è un social dreaming caratterizzato dall’uso di un film scelto apposta per sintonizzare tutti, dal medico all’infermiere, dallo psicologo al volontario, dall’assistente sociale all’insegnante della scuola in ospedale, su un tema e un linguaggio comune: quello delle emozioni. L’ipotesi di fondo è che i blocchi e le carenze nella comunicazione tra curanti e pazienti nascano da dinamiche emotive non elaborate, rimosse, disconosciute e che il linguaggio dell’immaginario, in cui cinema e sogni affondano le proprie radici, sia la chiave per migliorare la nostra capacità di stare in relazione con i malati, con i familiari, con gli altri membri dell’équipe oncologica multi professionale».

La tecnica dei workshop, ideata  nel 2002  presso il Centro di Ricerche Oncologiche “Giovanni XXIII” dell’Università Cattolica di Roma in collaborazione con l’International Institute for Psychoanalytic Research and Training of Health Professionals, è stata  introdotta  per supportare l’impegno psico-oncologico dell’Università Cattolica, promuovendo la partecipazione ai Corsi dell’Ateneo di psicoanalisti, psichiatri e psico-oncologi di fama internazionale quali Salomon Resnik, Dominique Scarfone, Robert O. Pasnau, F.I. Fawzy, N.W. Fawzy. Ripresa dal Forum Sanità Futura del Ministero della Salute, a Cernobbio, è stata poi presentata al Congresso della Società Psicoanalitica Internazionale (IPA) a New Orleans nel 2004, al Congresso della Società Italiana di Psichiatria, nel 2008 e, infine, sarà presentata all’XI Congresso SIPO di ottobre.