di Velania La Mendola
Ho sete. Quante volte abbiamo detto questa frase? Quante volte abbiamo avvertito questo bisogno naturale? Da questa esperienza comune, concreta e insieme simbolica, prende le mosse il libro del poeta e teologo portoghese José Tolentino Mendonça, Elogio della sete, libro nato nel corso di lunghi anni, in cui l'autore ha sviluppato una riflessione profonda sul tema del desiderio attingendo alla Bibbia, alle grandi opere della letteratura e della filosofia.
«Non avevo idea di come impiegare questo materiale» scrive Tolentino nell’introduzione «fino al giorno in cui squillò il mio telefono, a Lisbona, e all'altro capo mi parlava papa Francesco per invitarmi a guidare gli esercizi spirituali suoi e della Curia romana». Da questa straordinaria occasione nasce questa raccolta per “apprendisti dello stupore”, dieci capitoli elaborati dopo l’esperienza con il papa, per divenire un libro dedicato alla sete dell’uomo di oggi e al suo cammino spirituale.
L’invito è semplice eppure rivoluzionario, perché questo teologo, già autore di una mistica dei cinque sensi, La mistica dell’istante, ci dice: «Non intellettualizziamo troppo la fede. Ci siamo costruiti un fenomenale castello di astrazioni. […] Siamo maggiormente preoccupati della credibilità razionale dell’esperienza di fede che della sua credibilità esistenziale, antropologica e affettiva. Ci occupiamo più della ragione che del sentimento. Ci lasciamo dietro le spalle la ricchezza del nostro mondo emozionale». Un mondo che invece fa pienamente parte di noi e che dobbiamo sviluppare tanto quanto la parte razionale, perché «Dio ci ama a tutto tondo».
Il primo episodio biblico sulla sete da cui parte Tolentino è quello evangelico del pozzo di Giacobbe, dove Gesù incontra una donna di Samaria alla quale dice: «Dammi da bere». Questa donna veniva ad attingere acqua per subito fare ritorno al villaggio, veniva col pensiero della sua casa, delle sue faccende, di come risolvere le sue necessità, ma viene colta di sorpresa: «Per quanto ciò possa sconcertarci, sono queste le parole che Gesù ci rivolge, dal bordo del pozzo che rappresenta questo momento della nostra vita: “Dammi quello che hai. Apri il tuo cuore. Dammi quello che sei”. Egli dà un taglio al groviglio della routine, dei calcoli e degli interdetti, visibili o sommersi, che costringono la nostra vita in un’impasse, anche se sotto l’apparenza della normalità. Rompe con la prevedibilità sonnambula delle nostre traiettorie, delle nostre cieche navette tra la casa e il pozzo».
Lo stupore è l’atteggiamento al quale invita Tolentino, stupore per un Dio che assume tutte le debolezze umane, «con la sua forza ci ha creati, con la sua debolezza è venuto a cercarci» scriveva sant’Agostino, un Dio che ci chiede «dammi da bere». Noi saremo in grado di dargli da bere? «Ci daremo da bere gli uni gli altri?» Questi sono alcuni degli interrogativi che apre questo libro che traccia un cammino in cui grande alleata della teologia è la letteratura, definita da Tolentino uno “strumento sapienziale”.
Tra i vari scrittori, uno che Tolentino cita con particolare affetto è Saint-Exupéry, l’autore del Piccolo principe citato anche per spiegare il senso del libro: «Se vuoi costruire una barca, non radunare i tuoi uomini e donne per dare loro degli ordini, per spiegare ogni dettaglio, per dire loro dove trovare tutto quel che serve. Se vuoi costruire una barca, fai nascere nel cuore dei tuoi uomini e donne il desiderio del mare».