Se negli ultimi nove mesi siamo stati abituati a pensare alle problematicità che vivono le corsie di ospedale a causa del Covid-19, quello che accade da anni nelle case degli anziani in difficoltà per molti rimane ancora una realtà sconosciuta.

 

La figura del caregiver familiare, del figlio o del nipote che presta assistenza al proprio genitore o al proprio nonno, costituisce oggi «l’ossatura invisibile e silenziosa del Sistema Sanitario Nazionale».

 

 

Con queste parole la professoressa Guendalina Graffigna, Direttore del centro di Ricerca EngageMinds HUB dell’Università Cattolica ha presentato il progetto Place4Carers, di cui è direttore scientifico. Un’iniziativa pluriennale, finanziata da Fondazione Cariplo e coordinata da EngageMinds HUB, in collaborazione con il Politecnico di Milano, Need Institute e l’ATSP (Azienda Territoriale per i Servizi alla Persona) della Valle Camonica.

 

L’intento di Place4Carers, come ribadito mercoledì 18 novembre, in un webinar coordinato proprio dal centro di ricerca diretto dalla professoressa Graffigna, è quello di «convogliare la scienza con l’applicazione territoriale per disegnare nuove traiettorie di servizio».

 

I 150 caregiver coinvolti sono stati gli interlocutori privilegiati del piano di lavoro, grazie ai quali è stato possibile definire i quattro passaggi essenziali entro cui lo stesso deve muoversi.

 

In primis la creazione di un comitato di cittadini col compito di supervisionare l’andamento dei servizi e quindi garantire un feedback per una vera implementazione del progetto; in secondo luogo la formazione dei caregiver stessi, punto di snodo essenziale per supportarli nelle attività quotidiane di cura e sostegno dei propri cari; la creazione di gruppi informali di cargiver coordinati da uno psicologo per un confronto attivo di visioni e idee; in ultimo, la creazione di canali informativi in grado di raccontare l’iniziativa e coinvolgere nuove persone.

 

Da questo punto di vista, i numeri parlano chiaro.

 

Nella sola Lombardia operano circa 500mila caregiver, come tiene a sottolineare il professor Roberto Zoboli, delegato del Rettore per il coordinamento e la promozione della ricerca scientifica e della sostenibilità. «Questi sono la testimonianza del fatto che esistono delle relazioni basate sui sentimenti e sul dono e non sullo scambio», oltre che di un non mercato tutto da tracciare.

 

Per contestualizzare il fenomeno, come dice l’intervento in differita del professor Roberto Bernabei, ordinario di medicina interna e geriatria presso la Facoltà di Medicina basta pensare all’attualità. Dall’inizio della crisi pandemica a oggi, «la mortalità ha sempre avuto un’età media superiore agli 80 anni, persone che nel 75/80% dei casi avevano patologie di accompagnamento». Il Covid19, quindi, non ha fatto altro che evidenziare le mancanze della medicina territoriale, obbligando gli italiani a trovare delle “soluzioni fai da te, come hanno fatto inventandosi la badante prima che ne venisse riconosciuto il profilo”. Secondo il geriatra, la formazione del caregiver risulta il mezzo essenziale per consentire “di non affollare l’unica risorsa certa che abbiamo: gli ospedali e i pronto soccorso”.

 

Altri numeri sono quelli presentati da Rossana Di Renzo, responsabile del Coordinamento regionale delle Associazioni dei Malati Cronici di Cittadinanzattiva dell’Emilia Romagna. Grazie alla campagna “Ho diritto a”, la Di Renzo ha raccolto voci, numeri e pareri in merito alle esigenze dei caregiver, dando vita a un report dai risultati interessanti. Il 100% del campione intervistato, circa 200 narrazioni, esprime l’esigenza di un riconoscimento legale della loro figura. Da queste esperienze, Cittadinanzattiva ha raccolto 10 storie, diventate podcast, che testimoniano i diritti negati, a partire da una perdita di identità.

 

La testimonianza più forte che emerge, è quella di chi afferma che «quando si è caregiver non si è nient’altro: né mogli, né padri, né figli, né fratelli». Dal report, inoltre, emerge che l’86% dei caregiver sono donne, e il 14% uomini. Questo testimonia non solo l’esistenza di assistenti uomini, ma offre lo spunto alla riflessione fatta da uno degli intervistati per la ricerca: «Se credete che il caregiver sia solo donna, non è così. Io sono un uomo e da vent'anni sono accanto a mia moglie: il dolore, la comprensione, la sensibilità e l’amore sono esperienze che toccano anche noi uomini», anche chi è accanto.

 

In ultimo, tra le esigenze che accomunano gli intervistati, emerge forte quella di sfoltire la burocrazia, “la montagna sulle spalle, un ostacolo trasversale, un lavoro aggiuntivo rispetto all’assistenza” che i caregiver si portano dietro.

 

Per fortuna, come poi il Covid ha testimoniato, le associazioni rimangono l’unico riferimento per malati cronici e rari, anche e soprattutto per consentire di avere accesso a informazioni rispetto alle quali persone più in là con gli anni non hanno accesso perché non vengono erogate in maniera tradizionale.

 

Infatti, utile che possa essere un sito web, la maggior parte dei caregiver necessita ancora di mezzi di comunicazione tradizionali. Come spiega Roberto Messina, Senior Italia di FederAnziani, il 64% dei caregiver ha l’età dell’assistito, e il 28% sono i figli che molto spesso sono anche over 60 o 65 e altrettanto spesso più acciaccati dei loro genitori. Un dato questo che non può non far pensare al fatto che, data la curva demografica, il meccanismo è destinato a rompersi. «Allora bisogna pensare a delle soluzioni innovative di assist living, delle coabitazioni anche perché la quota a carico delle regioni per l’assistenza nelle Rsa ogni anno diminuisce sempre di più, perché la coperta è quella ma aumentano gli anziani che ne hanno necessità». E qui entra in gioco la residenzialità della Val Camonica, presa in esame proprio per la sua bassa densità abitativa e in cui magati i figli abitano anche a 40 chilometri di distanza dai genitori e nei fatti messi in difficoltà nel prestare qualsiasi tipo di assistenza.

 

Una delle idee innovative pensate da FederAnziani riguarda ancora una volta il concetto di formazione. In particolar modo, hanno pensato di istituire una scuola nelle isole Filippine in cui insegnare l’italiano, la cucina mediterranea e soprattutto formare il caregiver a seconda delle varie patologie, per farli arrivare preparati in Italia e pronti a prestare assistenza.

 

Questa complessità di aspetti, sottolinea Camillo Regalia, direttore del Centro Studi sulla Famiglia dell’Università Cattolica, non fa che dare spessore all’evento che sottende l’intero compito dei caregiver: l’attesa della morte. Un dato essenziale, di fronte al quale non si possono chiudere gli occhi ma, al contrario, cercare di prepararsi.

 

A raccogliere queste istanze ci deve pensare la politica. Susy Matrisciano, presidentessa di Place4carers e soprattutto della 11ª Commissione permanente di Lavoro pubblico, privato e previdenza sociale al Senato, pur non essendo fisicamente presente al webinar ha comunque tenuto a far pervenire il proprio contributo. Nella lettera scritta per i suoi ospiti, ha sottolineato l’esigenza di utilizzare nel migliore dei modi le risorse messe a disposizione nei confronti di chi «ogni giorno scarifica la propria vita per sostenere il proprio familiare in disabilità, mettendo a disposizione risorse pari a 25 milioni di euro affinché la figura del caregiver familiare trovi cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico».