Videolaparoscopia, fibra ottica, robotica: in oltre il 50% dei casi un paziente con un tumore addominale potrebbe beneficiare di questa chirurgia innovativa già saldamente presente in Italia, ma ancora non sfruttata appieno e secondo criteri solidi e riproducibili lungo tutto lo Stivale. È questo uno degli argomenti principali affrontati nella due giorni di lavori del Workshop "2012.COM - Chirurgia Oncologica Mini-invasiva", promosso l’8 e il 9 marzo da Domenico D’Ugo, docente di Chirurgia Generale all’Università Cattolica, al Policlinico Universitario Agostino Gemelli (Aula Brasca). La manifestazione sarà un “Evento Speciale” della Sico (Società italiana di Chirurgia oncologica) in preparazione ad alcune delle fondamentali tematiche che verranno affrontate nel Congresso nazionale Sico il prossimo giugno a Torino.
Sempre più donne vestono il camice da chirurgo. Il workshop vede la presenza di importanti specialisti internazionali nell’ambito della chirurgia oncologica mininvasiva, tra cui Vivian Strong, notissima chirurgo-oncologo mini-invasivista del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, dimostrazione vivente che il chirurgo, oggi, è sempre più “donna”: «Fino a due decenni fa non si arrivava al 5% di presenze femminili in chirurgia - spiega il professor D’Ugo - mentre oggi arriviamo anche a oltre il 20% e sempre più donne chirurgo raggiungono posizioni di assoluto prestigio». Non a caso il workshop inizia proprio nel giorno della festa della donna. Il dibattito e gli approfondimenti successivi sono focalizzati sulle neoplasie di stomaco e colon-retto, attraverso l’alternanza di video-letture e aggiornamenti sui livelli di evidenza scientifica attualmente disponibili, e con una serie di nuove video-proposte di tecnica da parte di noti specialisti italiani e stranieri.
Manca in Italia una governance adeguata della chirurgia oncologica mininvasiva che andrebbe fatta solo in poli di eccellenza. Al di là di tematiche squisitamente tecniche, spiega il professor D’Ugo, tentiamo anche di affrontare uno dei problemi che affliggono la corretta diffusione della chirurgia oncologica mininvasiva oggi, cioè la mancanza in Italia di una seria governance fondata su un sistema centralizzato di accreditamenti; a differenza di altri paesi occidentali o dell’estremo oriente, molto è lasciato all’iniziativa del singolo chirurgo, in assenza di rigorose linee-guida e senza un sistema di controllo efficace che miri a concentrare l’uso della chirurgia mininvasiva ultra-specialistica e la costosa robotica solo in poli di eccellenza accreditati - affidandola a specialisti formati ad hoc per maneggiare robot e strumenti laparoscopici - e soprattutto solo su quei pazienti che ne potranno trarre effettivi benefici. La mancanza di governance comporta infatti due diversi tipi di ricadute negative: da un lato - non solo in Italia - si calcola che appena il 20-25% dei malati oncologici che potrebbero beneficiare della chirurgia mininvasiva, vengono effettivamente operati con queste tecniche; viceversa, senza un controllo della effettiva formazione dei chirurghi e dell’esperienza dei centri clinici in questo approccio, alcuni pazienti rischiano di essere trattati in assenza di un chiaro vantaggio, quindi con una spesa inutilmente elevata per il Ssn, fattore non indifferente visti i crescenti costi delle nuove tecnologie, non trascurabili soprattutto in un periodo di crisi economica come quello attuale. «Servono accorte politiche di ‘spending review’ – spiega D’Ugo - che consentano investimenti per macchinari di avanguardia da concentrare nei centri di riferimento, evitando inutili acquisti a macchia di leopardo».
Il workshop getterà dunque le basi per stilare proposte di linee guida sempre più stringenti e basate sull’evidenza scientifica, al fine di fornire alla comunità chirurgica le corrette indicazioni alla chirurgia oncologica mininvasiva, soprattutto laddove - come in ambito di patologie oncologiche digestive - le tecniche mininvasive si candidano a divenire il “gold standard”, probabilmente destinate a “soppiantare” la chirurgia tradizionale, a tutto beneficio del paziente che ha una ripresa più rapida e minori complicanze post-operatorie. «Dobbiamo insistere nel contrapporci a diverse resistenze culturali ed economiche - conclude l’esperto - rendendo standardizzata e riproducibile la nuova gestualità chirurgica, nello sforzo di colmare per tutti le difficoltà di apprendimento di queste nuove tecniche, evitando un eccesso di indicazioni e rivolgendoci ancora ai metodi tradizionali quando si rivelino migliori per il paziente».