«È la madre di tutti gli eventi a Milano e si inserisce nel modello di città-palinsesto che il Comune sta portando avanti da un paio di anni: book city, design week, fashion week, e così via». Questo rappresenta per Milano il Salone del Mobile, presentato nei giorni scorsi nell’Aula Magna dell’Università Cattolica, secondo il professor Paolo Dalla Sega, docente di Valorizzazione urbana e grandi eventi e direttore del master in Ideazione e progettazione di eventi culturali (Mec) dell’Ateneo.

Il Salone del Mobile è al principio di tutte le altre iniziative, in quanto ripone le proprie radici nel passato della tradizione fieristica europea. Per il mercato, dunque, «ha un valore simbolico molto forte, è una vetrina. Qualcuno lo ha chiamato “festa mobile”, perché il mobile diventa aggettivo di una città nomade in un movimento itinerante».

L’evento internazionale dimostra che, talvolta, progettare eventi vuol dire anche progettare ambienti, poiché «siamo attratti dal contesto e non dal contenuto».  Eppure, il Salone del mobile, nonostante la sua natura molto settoriale, attira da anni tantissime persone, diventando così un vero e proprio fenomeno di massa. Secondo Dalla Sega il segreto sta nelle modalità di fruizione delle persone: «Siamo attratti in maniera abbastanza generica, e quindi poco tecnica, da una bellezza accessibile. Sono esperienze estetiche gratificanti più facili di tanta arte contemporanea, altrimenti non mi spiego del perché fare la fila per un bagno o un cucchiaio. Magari la nostra casa non avrà mai quelle sedie, ciò nonostante andiamo a vederle. Credo si sia in generale abbassato il livello, ma non di qualità, non facciamo gli errori di snobismi o elitisti. È un livello della difficoltà percettiva. L’arte contemporanea da un lato si allontana dall’estetica e dalla tecnica, quindi diventa più un qualcosa di pensiero. Ma quello che vediamo ci piace, c’è una accessibilità del bello».

Tutti questi anni di storia non possono esser casuali. E infatti, il professor Dalla Sega ci tiene a sottolineare come l’aspetto più tradizionale dell’evento deve essere difeso e tutelato: «È molto giusto e storicamente sensato che il Salone si svolga qui. Il Salone nasce a Monza, la Capitale del distretto. Poi come città Milano, per mille motivi, è prevalsa. Quindi questo legame tra esibizione e rappresentazione della produzione va mantenuta, non sarebbe credibile altrimenti».

C’è quindi qualcosa di magico che lega il Salone e Milano, e lo dimostrano le varie zone e quartieri che ogni anno riescono a brillare di luce riflessa grazie all’evento. Riesce ad “accendere come lampadine” dei quartieri che, in quel periodo dell’anno, sbocciano di vitalità, aiutati anche da un apporto delle persone che non è mai mancato: «C’è un clima di festa, di partecipazione, di convivialità. È come se nascesse una ritualità, che poi crea immagini, video, esperienze e condivisione». Un connubio perfetto, in una città che «continua a vivere un’onda positiva», all’interno della quale «sta crescendo questo desiderio di condivisione e di voglia di esserci».