Una rivoluzione silenziosa. È quella che stanno compiendo le donne arabe che lavorano nel mondo dei media. A raccontare come cambia la loro immagine, al di là di ogni stereotipo, sono state Rafiah al Talei, giornalista e senior producer della tv qatariota al Jazeera, e Xenia Gleissner, direttrice dell’istituto di ricerca Mahalli, con sede a Londra. Ospiti entrambe di un incontro tenuto nell’ambito del corso di Storia e istituzioni del mondo musulmano della facoltà di Scienze politiche e sociali, presieduto dalla professoressa Elena Maestri.

Rafiah al Talei è partita da un quotidiano locale in Oman ed è arrivata fino ad al Jazeera, tv di proprietà dell’emiro del Qatar, la cui influenza si estende ben oltre il mondo arabo. Da giornalista, ha evidenziato come il ruolo delle donne si sia notevolmente ampliato negli ultimi anni, contro ogni stereotipo e convenzione sociale.

Esiste una sempre maggiore domanda femminile di informazione, sia come oggetto (questioni di genere in tv) che come soggetto (maggiore presenza di giornaliste). Quando nelle redazioni, composte esclusivamente da uomini, hanno iniziato a comparire le donne, è stato scardinato il principio sociale che vedeva il giornalismo come mestiere inadatto al genere femminile: fare la reporter o attività redazionale, infatti, occuperebbe tempo che andrebbe invece dedicato a famiglia e figli.

Le idee tradizionaliste sono dure a morire: «Perfino mia madre, ogni tanto, quando le parlo del mio lavoro mi dice: “Ti ricordi di essere una donna, vero?”» afferma Rafiah. «Le persone ti giudicano sotto ogni aspetto: come ridi, come parli, come ti vesti. Le donne hanno molta più pressione addosso, rappresentano l’intera categoria femminile, la famiglia da cui provengono. Personalmente, questo è stato solo uno stimolo per fare meglio il mio lavoro. Ognuna di noi dovrebbe essere concentrata su quello che vuole e investire nella formazione delle future generazioni».

Un crinale molto scivoloso sono proprio le questioni femminili, di cui la producer ha lamentato la mancanza di un’agenda adeguata a livello mediatico. «Per noi giornaliste, però, è molto complicato parlare di emancipazione» ha raccontato. «Il nostro lato personale non deve in alcun modo influenzare la nostra narrazione, dobbiamo sempre essere fedeli all’informazione. Prima di tutto, siamo professioniste». Dalla presenza di donne nelle redazioni, sempre crescente, il problema ora diventa la mancanza di figure dirigenziali femminili, che possano cambiare agenda setting e palinsesti.

Xenia Gleissner, che dopo la laurea in studi islamici a Exeter ha lavorato a lungo in Paesi come Siria ed Emirati Arabi, si è invece concentrata, nel corso del suo intervento, sulle differenze nel panorama mediatico all’interno di una nazione dalla cultura più occidentale come gli Emirati Arabi Uniti. «Pur essendo uno stato piuttosto piccolo - ha spiegato la ricercatrice - i modelli culturali sono differenti nelle due maggiori città: ad Abu Dhabi, la capitale, prevale ancora una mentalità conservatrice e vedere la propria sorella o figlia mentre conduce un telegiornale fa un effetto “straniante”, non è ancora completamente accettato a livello sociale».

Le cose vanno meglio a Dubai, la città più popolosa del Paese, meta di milioni di turisti ogni anno: lo stile di vita più occidentale favorisce la presenza di donne nel piccolo schermo come giornaliste, conduttrici e reporter. «Una caratteristica che accomuna i Paesi del Golfo e li differenzia, per esempio, da Libano ed Egitto è un’industria mediatica giovane e basata su modelli esteri. Naturalmente questa situazione influenza il mondo femminile: è nata la prima generazione di donne che lavorano nell’industria mediatica». Ma la strada è ancora lunga.