Come si fa a diventare grandi? La domanda non è scontata, perché crescere diventa sempre più difficile: sia per ragioni ambientali, sia per questioni psicologiche. Come si pongono i ragazzi italiani di fronte alla transizione alla vita adulta è la domanda che ha guidato Elena Besozzi, sociologa della Cattolica, nella ricerca “Tra sogni e realtà. Gli adolescenti e la vita adulta”, pubblicata nell’omonimo volume e presentata nel corso di un convegno in aula magna lo scorso 11 maggio alla presenza del ministro della Gioventù Giorgia Meloni.
Ad aprire i lavori la presentazione di un’altra ricerca, condotta tra vari paesi europei da Andreas Walther, ricercatore senior presso l’istituto di Educazione della University of Tübingen. Il ricercatori tedesco nel lavoro dal titolo “Giovani, attori del cambiamento sociale? Differenze e convergenze in Europa”, ha analizzato il processo e le problematiche della transizione dalla giovinezza all’età adulta, in una prospettiva comparata tra i vari stati europei, individuando un processo detto di «transizione yo yo»: i ragazzi si trovano nella condizione di dover mediare tra un orientamento volto alla costruzione di una vita adulta fondata sui valori (ampiamente condivisi tra i giovani europei, secondo la ricerca) dell’educazione, del lavoro, della famiglia e della cittadinanza, e le necessità di affrontare situazioni complesse di disuguaglianza sociale e precarietà. Questa difficile compatibilità tra desideri per il futuro e condizione del presente implica spesso dei veri e propri «dilemmi biografici», che i giovani si trovano a dover affrontare.
Secondo la ricerca, i giovani davanti possono scegliere tra quattro differenti modelli di agency che vendono strutturati e resi preferibili anche dal contesto sociale nel quale crescono: scelta, tenere le opzioni aperte, riconciliazione, auto-rappresentazione. «L’analisi della transizione dei giovani in una prospettiva comparata – spiega lo studioso tedesco - rivela che i diversi modi di concettualizzare la giovinezza portano a differenti politiche per i giovani e a differenze nel modo di intendere le loro azioni, anche quando queste si discostano dalle modalità tradizionali». Le differenze più sostanziali si ritrovano tra i modelli di Stato “universalistici” (come Svezia e Danimarca) e “liberali” (Gran Bretagna), da un lato, dove i sistemi lavorativi e scolastici sono permeabili e flessibili e la sicurezza sociale dei giovani è garantita in primo luogo dalle istituzioni; e i modelli di stato “sub-protettivi” (come Spagna e Italia), dall’altro, dove l’accesso al mondo del lavoro è ristretto e la famiglia rappresenta la maggiore istituzione per la sicurezza sociale dei giovani.
E alla situazione italiana è dedicata la ricerca di Elena Besozzi, condotta, con metodo qualitativo e quantitativo, tra giovani residenti in diverse città italiane e di età compresa tra i 14 e i 18 anni. L’obiettivo? Indagare come i giovani immaginano e cercano di costruire la propria vita adulta. È emersa una realtà italiana molto sfaccettata e con profonde differenze legate alla regione di appartenenza, al genere, all’estrazione sociale e culturale. Nel corso della ricerca sono state individuate sette categorie di giovani. «Sette gruppi di soggetti – ha affermato la Besozzi – molto diversi tra loro rispetto a variabili strutturali e, soprattutto, rispetto alla capacità o possibilità di attivare risorse sociali e culturali, e quindi di sviluppare atteggiamenti, motivazioni, orientamenti valoriali e scelte in ordine al proprio progetto di vita». Dei sette gruppi, quattro sono quelli definiti “acquisitivi” (distinti tra eteronomi, autonomi, altruistici e individualistici), due definiti “disimpegnati” (disorientati e trasgressivi) e uno è definito “svantaggiato marginale”.
Molti i sondaggi effettuati tra i ragazzi che hanno destato molto interesse tra il pubblico del convegno. In primis, quello relativo alle aspettative dei giovani, condotto chiedendo ai ragazzi: “Che tipo di persona ti piacerebbe diventare?” e “Qual è la cosa a cui non vorresti rinunciare?”. Dalle risposte è emersa una scala di valori abbastanza condivisa, secondo cui molti giovani desiderano diventare persone di successo (29%) e autonome (25%), ma allo stesso tempo non vogliono rinunciare alla possibilità di avere dei figli (19%) e di avere delle persone sulle quali poter contare (25%). «Si tratta di un dato positivo – ha sottolineato l’autrice – che evidenzia come i giovani abbiano voglia di mettersi in gioco, tentando la sfida di raggiungere il successo lavorativo senza rinunciare alla possibilità di farsi una famiglia».
Altri dati emersi dalla ricerca non inducono invece ad altrettanto ottimismo. Emerge infatti che con l’avvicinarsi della maggiore età i soggetti tendano a sviluppare un livello decrescente di fiducia nella vita lavorativa. Gli studenti di quarta superiore, rispetto a quelli di seconda, mostrando meno fiducia riguardo alla possibilità di avere un lavoro stabile a trent’anni di età (84% contro 87%), guadagnare molto (44% contro 58%) e svolgere un lavoro piacevole (77% contro 87%). Un altro dato che necessita di una riflessione emerge alla domanda: “Come ti senti nel tempo libero?”, a cui il 33% degli intervistati ha risposto di sentirsi annoiato, triste, solo o senza niente da fare, mentre il 23% ha affermato di sentirsi impegnato (con forti disparità regionali, che vanno dal 19% di Salerno al 27% di Bergamo e Torino).