“I grandi delinquenti politici vanno denunciati, esponendoli soprattutto al ridicolo”: parola di Bertolt Brecht (1898-1956), uno dei più celebri e innovativi drammaturghi del Novecento, che nell’opera La resistibile ascesa di Arturo Ui (Der aufhaltsame Aufstieg des Arturo Ui) mette a tema una pagina drammatica della storia tedesca, smascherando la vera natura di un dittatore che si cela dietro lo schermo della retorica e della demagogia. Questo dramma è stato presentato da Laura Bignotti, Assegnista di Ricerca presso l’Università Cattolica di Brescia, che giovedì 01 dicembre è stata protagonista del sesto incontro del ciclo “Teatro 2011”; accanto alla relatrice anche l’attore Sergio Mascherpa che ha dato voce ai personaggi di Brecht.
Scritta in sole tre settimane nel 1941 durante l'esilio a Helsinki e messa in scena verso la fine del 1958, quest’opera ricostruisce l'ascesa di Arturo Ui, un immaginario gangster della Chicago degli anni Trenta, che in modo spietato vuole ottenere il pieno controllo sul racket dei cavolfiori, eliminando senza pietà i suoi concorrenti. Lo stesso Brecht dichiara che si tratta di una trasposizione teatrale di vicende storiche realmente accadute che si propone come un “tentativo di spiegare al mondo capitalistico l’ascesa di Hitler, trasponendola in circostanze a quel mondo familiari”. Nel personaggio di Arturo Ui è possibile non solo vedere una caricatura di Adolf Hitler, ma si possono cogliere evidenti rimandi alla popolare figura di Al Capone, emblema di una certa criminalità organizzata alla quale si sono ispirate anche numerose produzioni cinematografiche. Concluso il prologo in cui un presentatore anticipa i contenuti della rappresentazione, l’opera si apre con un’invettiva contro i “tempi dannati” della crisi finanziaria globale degli anni Trenta che in Germania fu ancor più pesante a causa dei danni di guerra che la nazione tedesca dovette pagare. Nelle scene quarta e quinta compare Arturo Ui a offrire la sua protezione armata come gangster per ottenere il dominio sul trust dei cavolfiori; nei suoi interventi si possono individuare alcuni stereotipi retorici presenti nei discorsi autoreferenziali dei grandi dittatori del passato: Arturo Ui si presenta come un uomo semplice e di umili origini, proveniente dal popolo e scelto da Dio. Il nome Arturo rimanda alle origini italiane di molti mafiosi americani; proprio giocando sui nomi dei suoi personaggi, Bertolt Brecht riesce a creare la controparte americana di alcuni dei più noti volti dell’epoca nazista: così lo sgherro di Ui Ernesto Roma rappresenta Ernst Röhm, Dogsborough è Paul von Hindenburg, Emanuele Giri e Giuseppe Givola corrispondono rispettivamente a Hermann Göring e Joseph Goebbels.
L’ascesa di Arturo Ui si articola in diverse fasi: inizialmente, da volgare delinquente quale è, decide di farsi insegnare da un attore i trucchi del mestiere per carpire i segreti dell’arte oratoria; il protagonista, inscenando un’esilarante quanto demistificante parodia del Führer, sottolinea di non voler apparire naturale, lasciando così intendere che la scalata al potere non può che passare attraverso un’attenta costruzione della propria immagine. L’artificiosità è pure uno dei tratti distintivi della propaganda di natura demagogica che ha presa sull’“uomo di strada”; Brecht inserisce la lettura di un brano tratto dal Julius Caesar di William Shakespeare, in cui Marco Antonio usa l’arte retorica come strumento atto alla manipolazione delle masse e all’acquisizione del potere. Una volta appresi questi stratagemmi, Arturo Ui imbastisce un discorso altisonante rivolto ai commercianti di cavolfiori affinché comprendano la necessità di averlo come capo del trust; le sue parole sono intrise di luoghi comuni sulla crisi economica alternati a minacce che diventano sempre più pesanti sino a concretizzarsi: l’incendio doloso con intento intimidatorio ne è la prova più eclatante – anche in questo caso è chiaro il rimando all’incendio del palazzo del Reichstag appiccato il 27 febbraio 1933. Nelle scene sedicesima e diciassettesima, le ultime del dramma, Arturo Ui sale al potere: il discorso a commento della sua elezione, espressione magniloquente del suo delirio di onnipotenza, è un esempio impeccabile di retorica nazista alla massima potenza, un misto di demagogia e di politica del terrore che in modo agghiacciante camuffa la propria violenza con intenti pacifisti. “Ci laviamo le mani e siamo mondi di colpa”: così commentano i commercianti di Chicago che rappresentano tutte quelle persone che avrebbero potuto e dovuto opporsi all’ascesa di Arturo-Hitler che non fu resistibile perché ciascuno aveva degli interessi personali da tutelare. Il dramma si chiude, infatti, con il grido angosciato di una donna che urla nel vuoto “C’è nessuno che li fermi?”, domanda straziante, la cui risposta è da trovare nel titolo stesso dell’opera.
Se l’ascesa di Hitler potesse essere contrastata oppure no è un interrogativo che Brecht pone allo spettatore, il quale deve sviluppare il proprio spirito critico per meglio comprendere i fatti e avere una propria visione della realtà. Caratteristico dell’intera produzione teatrale brechtiana è l’intento didattico che accomuna tutte le sue opere; rispetto a La resistibile ascesa di Arturo Ui, lo stesso drammaturgo precisò che si tratta di “una commedia parabolica scritta con l’intento di distruggere il pericoloso rispetto che comunemente si prova di fronte ai grandi massacratori”. Dal punto di vista drammaturgico, l’opera rispecchia le teorie brechtiane del “teatro epico”: esordisce con un prologo in cui un presentatore, direttamente rivolto al pubblico, tratteggia i personaggi principali e spiega i fondamenti della storia che sarà messa in scena, consentendo così allo spettatore di avere una chiave di lettura di ciò cui sta per assistere a scapito della suspense. Le indicazioni sceniche prevedono che siano mostrati cartelli al pubblico con la didascalia di quanto sta accadendo e il testo è arricchito con spiegazioni precise delle dinamiche correlate all'ascesa del potere di Hitler: questi sono gli elementi che concorrono alla creazione dell’effetto di straniamento (Verfremdungseffekt), condizione necessaria affinché lo spettatore non si immedesimi nei personaggi, ma prenda invece le distanze dalla rappresentazione. Il pubblico deve uscire dalla tradizionale passività con cui solitamente si siede di fronte al palcoscenico, attivando così il proprio spirito critico che si confronta con qualcosa di naturale presentato sotto una veste inconsueta. È questo l’obiettivo primario di Bertolt Brecht che, facendo appello a noi spettatori, chiude l’epilogo dell’Arturo Ui con questo monito: “E voi imparate che occorre vedere e non guardare in aria, occorre agire e non parlare. Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo. I popoli lo spensero, ma ora non cantiamo vittoria troppo presto: il grembo da cui nacque è ancor fecondo”.