L’avvio non poteva essere che con il volto della fortunata trasmissione: Fabio Fazio. Che per l’occasione ha messo solo la voce, collegato via telefono con la sede bresciana dell’Università Cattolica, ha interloquito con gli studenti, intervistato da Paola Abbiezzi, docente di Storia della Radio e della Televisione, e duettando con il professor Giorgio Simonelli. Allo Stars, dunque, non fanno scuola solo i programmi di ieri. Anche un format già consolidato, ma relativamente nuovo, può essere oggetto di analisi e gli autori del talk-show hanno spiegato lo scorso 28 novembre agli studenti del corso di laurea in Scienze e tecnologie delle arti e dello spettacolo il dietro le quinte della trasmissione.
A Loris Mazzetti, capostruttura di Rai 3 a Milano e responsabile del programma, il compito di ripercorre la genesi, le difficoltà e la crescita di questo successo. «L’idea del programma nasce da una serie di studi che il conduttore savonese stava svolgendo sul David Letterman show – racconta Mazzetti - e dal desiderio di portare in tv qualcosa di diverso, una semplice conversazione che parlasse dei tempi attuali». Ecco allora l’idea di una struttura essenziale, un conduttore e un ospite che conversano di attualità, politica, cultura, spettacolo; ma riuscire a rendere televisivamente questa semplicità è tutt’altro che facile. Non per Duccio Forzano, alla regia del programma dal 2005, dopo gli spettacoli del sabato sera (“Torno Sabato” con Panariello, “Stasera pago io” con Fiorello e San Remo), che introduce una regia attenta alle parole, scegliendo di volta in volta i colori dello studio e i piani di ascolto.
Secondo Forzano rappresentare la parola è una delle cose più difficili, perché è impalpabile, inafferrabile. Per questo serve inventare e variare continuamente, e creare un percorso visivo con lo spettatore. Nella prima edizione da lui curata, uno schermo enorme composto da 16 monitor, posto alle spalle del conduttore e dell’ospite, trasmetteva il primo piano dell’intervistato in forma scomposta, e si ricomponeva man mano che l’intervista andava avanti, così come le parole pronunciate componevano pian piano il profilo dell’interlocutore.
Come tutti i manuali sulla tv insegnano, non esisterebbe alcun programma senza una solida base autoriale. E la squadra di Che Tempo che fa, composta da Pietro Galeotti, Michele Serra, Samanta Chiodini, Giacomo Papi insieme a Paolo Aleotti, presenti in aula, e dallo stesso Fabio Fazio, prende tutte le decisioni in gruppo, così come in gruppo vengono le idee. Quando poi si lavora insieme da anni, e si è costruito insieme anche altri programmi, la sintonia permette di lavorare serenamente e di potersi fidare reciprocamente. Proprio sull’aspetto del “lavoro di gruppo” si è soffermata l’analisi di Caterina Gozzoli, docente di Psicologia del conflitto e della convivenza socio-organizzativa. All'interno della società, come anche all’interno dei micro-gruppi sociali come quelli lavorativi, riuscire a convivere bene rende possibile la creatività. Che tempo che fa è oggi un programma di grande successo, ma non è stata cosa semplice. Gli ostacoli all’interno di un’azienda cosi gerarchizzata e politicamente influenzata come la Rai sono tanti, come ha ricordato Loris Mazzetti. Il programma però riesce ad andare in onda e, pur se collocato in una fascia di grande concorrenza che è quella dei Tg della sera, si è fatto strada all’interno delle case degli italiani raggiungendo il 12% di share in una fascia che in media faceva il 2.
«Un piccolo miracolo italiano» l’ha definito Giorgio Simonelli, esperto di Storia della televisione, che ha aperto con il suo intervento la seconda parte del convegno. «Gli ospiti fanno la fila per andare da Fazio. Non c’è autore, regista o scrittore che non desideri partecipare alla trasmissione e riceverne la “consacrazione”». A chiudere l’analisi di questo format riuscito, l’intervento di Carlo Galimberti e Vasco Bergamaschi, dedicato ad analizzare l’approccio che il conduttore utilizza durante le interviste: comicità e umorismo, calibrati con sapienza sulle varie situazioni, creano un clima di simpatia e di confidenzialità. A Carla Bino, ricercatrice di Storia del teatro, il compito di analizzare la struttura del programma da un punto di vista drammaturgico.