Pubblichiamo il contributo della professoressa Carla Bino, docente di Storia del teatro e dello spettacolo, in relazione alle conseguenze del Coronavirus sulle nostre vite. Una riflessione in prima persona racchiusa in sette parole
di Carla Bino *
Isolati. Limitati. Allontanati. Reclusi e costretti. Rallentati. Danneggiati. Preoccupati e a tratti spaventati.
È vero, in questi giorni di provvedimenti sanitari capita di sentirci così. A me succede spesso di provare a cambiare il punto di vista da cui guardo le cose per capire se come le leggo e avverto dipende da me o dalle cose stesse. Ecco, allora i miei sette capovolgimenti di visuale al tempo del Covid-19.
Isolati. Il mio lavoro è fare ricerca, scrivere e insegnare. Approfitto dell’isolamento per fare ricerca e scrivere a pieno ritmo e mi riorganizzerò con disponibilità e qualche rinuncia per recuperare la didattica sospesa.
Limitati. Magari questa è l'occasione giusta per capire che abbiamo problemi di socialità e che la socialità reale non è quella virtuale. Ci manca stare insieme fisicamente e, in questo tempo di ‘niente abbracci, niente baci, niente strette di mano’, forse ci riesce anche di recuperare il senso del corpo, visto che è il corpo ad essere toccato e limitato.
Allontanati. Eccoci a constatare che oggi non esistono più confini tra gli uomini e che quindi dobbiamo imparare a fare i conti con la ‘prossimità’ degli altri. Tutti. Siano essi portatori di diversi pensieri, religioni, usanze e persino malattie.
Reclusi e costretti. A me sembra che non sappiamo fare sacrifici e che consideriamo tutto coercitivo della nostra libertà. Prima o poi, però, dovremo definire cosa ci rende liberi. Se essere liberi significa fare ciò che ci garba, beh, forse non è una grande libertà. Credo che questo abbia molto a che fare anche con il senso del ‘relativo’ che noi abbiamo perso, forse perché non abbiamo più gli strumenti per capire cosa sia una ‘relazione’.
Rallentati. #noinoncifermiamo. Giusto. Ma se il fine dell’esistenza umana è un’economia di sempre maggior profitto, anche in questo caso a me non sembra un gran fine. Al contrario mi sembra un fine 'limitato' (questa volta davvero) nel tempo e nello spazio.
Danneggiati. È vero, non poter stare insieme ha comportato anche la chiusura o il contingentamento di teatri, luoghi di cultura, musei, cinema etc. Ma dire che questo è per noi mandare in crisi l’intero settore culturale, significa due cose: la prima che negli anni abbiamo toppo insistito sull’idea che teatri, musei etc vadano gestiti solo come imprese di cultura e attrattori turistici; la seconda che con cultura intendiamo qualcosa che assomiglia sempre più (o addirittura si identifica) ad un’industria di intrattenimento, svago e turismo. Anche in questo caso lo stop che viviamo può diventare l’occasione per pensare se non valga la pena rivedere i nostri parametri. Magari a partire proprio da una riflessione sul ruolo di teatri e musei in una città e sul fatto che essi possono essere generatori di pensiero, originalità e, in particolare, relazioni comunitarie solo quando sono e restano ‘res publica’, fuori da costrizioni di mercato. Nel frattempo, compriamoci qualche libro e qualche film nuovo. Ne abbiamo tutti bisogno.
Preoccupati e spaventati. Sono convinta che sia il pensarci esclusivamente destinati a questa terra a farci essere terrorizzati di qualsiasi cosa metta in pericolo il nostro benessere e la nostra vita. È come se fossimo piegati su noi stessi e guardassimo continuamente i nostri piedi che stanno, appunto, per terra. Provateci. Da quella posizione si avverte un senso di solitudine devastante che va a braccetto con una esorbitante fragilità.
* docente di Storia del teatro e dello spettacolo, facoltà di Lettere e filosofia, campus di Brescia e di Milano