di Gabriele Della Morte *

Se il Cloud non esiste, perché è notoriamente il computer di qualcun altro, nel campus dell’Université de La Réunion il sole tropicale filtra attraverso spesse nuvole in perenne movimento. Né bisogna sorprendersi: è naturale che vi si condensi l’umidità se si considera che l’Isola è la prima terra in cui il vento può imbattersi dopo 6.000 chilometri di viaggio dall’Australia (direzione est-ovest). Siamo, infatti, nel bel mezzo dell’Oceano indiano, eppure in territorio francese e, quindi, dell’Unione europea. 

È qui che ho tenuto un corso sul cyberspazio che ha felicemente risentito di un contesto speciale. La curiosità degli studenti è stata grande, come la calorosa accoglienza dei colleghi, giuristi e non solo. Impartire in un simile contesto un seminario in lingua della durata di 10 ore sui problemi giuridici posti dal cyberspazio è stato un vero onore e potrà servire a rinforzare la cooperazione internazionali della facoltà di Giurisprudenza e d’Ateneo.

L’Accordo quadro sottoscritto (Erasmus+) ha durata di tre anni, e oltre a consentire lo scambio individuale potrà fornire una base per la partecipazione ai numerosi progetti di finanziamento europei che salutano con particolare favore la collaborazione con centri di ricerca siti in région ultrapériphérique (territori dell’Unione europea al di fuori del continente europeo).

Stabilito questo nuovo collegamento si tratterà di intensificare gli scambi. D’altronde, a quelle latitudini non hanno timore del commercio delle idee e delle navigazioni, e il medesimo lemma cyber ha un’origine greco-antica (kyber) il cui significato è precisamente quello di “timone”. 

La storia dei territori d’outre-mer (oltre-mare), quasi un quinto del suolo francese e circa un ventesimo della relativa popolazione, si sviluppa – relativamente all'area dell’Oceano indiano – nel corso del XVII secolo in parallelo con la crescita della Compagnia delle Indie orientali francese e il declino dell’egemonia portoghese in questi mari.

È solo in prossimità di questo periodo che l’isola fa capolino nelle preziose mappe nautiche dell’epoca (gelosamente custodite alla stregua di segreti di Stato). Nel 1646 vi vengono abbandonati, come punizione, una dozzina di condannati. Quando, tre anni dopo, sono ritrovati vivi si realizza che il luogo è propizio alla vita dell’uomo e nel 1665 vi si fonda la prima colonia come scalo per le navi dedite al commercio.

I ‘creoli’ sono dunque il gruppo etnico originario, discendenti di questo primo popolamento maschile ed europeo reso meticcio dall’incontro con donne provenienti da altrove. Accanto a questi, un ricchissimo mosaico: i ‘cafres’, derivanti degli schiavi africani deportati per lavorare nelle grandi piantagioni di canna da zucchero (per secoli la monocoltura dell’isola); i ‘malabar’, impiegati agricoli importati dopo l’abolizione della schiavitù nel 1848; i ‘z’Arabes’, che a dispetto del nome sono dell’India; i cinesi; e gli ‘z’Oreilles’, provenienti dalla ‘metropole’, come qui definito l’esagono francese. Una simile varietà etnica, sviluppatasi in un periodo di meno di 400 anni in un perimetro così isolato rappresenta uno straordinario patrimonio – e matrimonio – sociale, intorno al quale si è calcificata l’identità dell’isola: “fieri di essere meticci”, riportano, con legittimo orgoglio, i manifesti che illustrano le attività del Comune.

Il meticciato è riscontrabile ovunque: nell’alternanza di cattedrali, minareti islamici, templi induisti e pagode buddhiste, nella cucina, nella musica, oltre che, se non specialmente, nella varietà del territorio e nella biodiversità della fauna e della flora. Quasi la metà dell’Isola è classificata come patrimonio dell’umanità dall’Unesco: si passa da aride pendici di altissimi vulcani a impenetrabili vallate (che già offrirono rifugio agli schiavi fuggitivi che si davano alla macchia), da chilometri di costa assediata da pescecani a specchi d’acqua resi balneabili dalla barriera corallina. 

* Docente di Diritto internazionale, facoltà di Giurisprudenza, Università Cattolica. Un ringraziamento speciale all’Area di sviluppo internazionale del campus Milano e un grande merci ai colleghi Hélène Pongérard-Payet e Anne Quatrehomme per l’indispensabile sostegno ricevuto