Piero Grasso in aula Pio XI _ 18 ottobre 2012 _ MilanoLa presenza delle mafie nel mondo delle imprese del Nord Italia, un fenomeno che può essere esiziale per il nostro paese specie in un periodo di grande crisi economica e “di sistema”. È lo sfondo e il motivo ispiratore del corso di alta formazione per Amministratori giudiziari di aziende e beni sequestrati e confiscati (Afag), che ha preso il via ufficialmente il 18 ottobre in aula Pio XI con la tavola rotonda: Intrecci tra mafia e impresa nel tessuto economico del Nord Italia. All’iniziativa, promossa dal Centro studi “Federico Stella” per la Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp), è intervenuto, tra gli altri, il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso.

L'intreccio tra criminalità organizzata e criminalità del profitto ha determinato un aumento delle aree di promiscuità tra impresa lecita e impresa criminale anche, e soprattutto, nelle regioni settentrionali. «La criminalità organizzata va dove ci sono i soldi e le scorciatoie finanziarie», afferma il presidente di Assolombarda, Alberto Meomartini, e non a caso il fenomeno ha la sua cartina di tornasole nei dati relativi ai beni confiscati alla criminalità organizzata, sempre più preoccupanti nelle loro dimensioni sia in Lombardia (ben 80 milioni di euro) sia nelle altre regioni del Nord Italia. A questo proposito, va segnalato che la Lombardia è la terza regione d’Italia per numero di aziende confiscate alla criminalità organizzata (dopo Sicilia e Campania e prima di Calabria, Lazio e Puglia): si tratta di aziende di ogni tipo, dal settore del commercio al quello alberghiero e della ristorazione, e di ogni natura giuridica, seppure con prevalenza di aziende costituite in forma di società a responsabilità limitata.

Questo dimostra ulteriormente quanto sia fondato l’allarme lanciato dai più attenti osservatori: le mafie sono oramai stabilmente integrate nel tessuto economico del Nord Italia, con particolare riguardo a settori come l’edilizia, il movimento terra, l’acquisizione di immobili e le attività commerciali. I metodi di commistione e di confusione tra economia legale e criminalità organizzata sono molteplici e sono stati messi in luce da molte inchieste delle magistratura, come la nota indagine “Infinito” che ha portato alla condanna di circa duecento persone tra appartenenti alla ‘ndrangheta calabrese e “imprenditori” o “politici” locali. Uno degli strumenti più “efficaci” è sicuramente quello del prestito usuraio a imprese in crisi di liquidità, che, lentamente e spesso in modo irreversibile, perdono il “controllo” del proprio patrimonio sociale e così finiscono per consegnare la gestione dell’impresa all’organizzazione criminale.

L’inchiesta “Infinito” ha messo in luce anche una ulteriore evoluzione dell’insediamento della criminalità organizzata al Nord. Esponenti della ‘ndrangheta, superando la tradizionale ritrosia delle mafie del sud ad agire in prima persona nell’attività politica, hanno cercato di presentarsi direttamente alle elezioni amministrative di comuni dell’area milanese, con una propria lista, in modo da gestire direttamente gli appalti del territorio. E non si tratta di un caso isolato: basti pensare alle infiltrazioni della ‘ndrangheta calabrese nel mondo della politica registrate in Piemonte, come dimostrato dagli scioglimenti delle giunte dei comuni di Rivarolo, Leinì, Bardonecchia, o in Liguria, con lo scioglimento di Ventimiglia e Bordighera.

Tutto ciò dimostra come le mafie siano ormai radicate nel Nord del Paese e, quel che appare più preoccupante, come esse non siano identificabili in modo chiaro con forme di criminalità, ma vivano di relazioni sociali che le rendono invisibili e omogenee alla economia legale e “rispettabile”, penetrando anche le imprese sane e colonizzandone settori di attività o compartimenti.

Specie in tempi di crisi economica, alla penetrazione di esponenti e capitali della criminalità organizzata nel cuore dell'economia e della finanza deve contrapporsi la costruzione di efficaci baluardi di legalità già in seno all'attività imprenditoriale, nella consapevolezza che la mafia non è solo subcultura o mentalità, ma è organizzazione, impresa. Uno degli strumenti per contrastare la colonizzazione dei territori dell’impresa legale da parte delle organizzazioni criminali è costituito proprio da misure patrimoniali quali il sequestro e la successiva confisca dei beni e delle aziende che costituiscono il prodotto o il profitto dell’attività delinquenziale. Si tratta di misure che hanno, se ben congegnate ed eseguite, la potenzialità di spezzare il circuito che, partendo dall’investimento di capitali illeciti in attività legali, fa sì che la criminalità entri in “mercati” a essa tradizionalmente estranei, si appropri dei modelli operativi della criminalità economica e finanziaria, adattandoli ai propri, coinvolgendo così anche imprese sane e competitive.

Emerge così in modo chiaro quale sia il ruolo che l’ordinamento assegna a coloro che sono chiamati a gestire questi cespiti: restituire alla comunità, in tempi accettabili e nelle migliori condizioni possibili, i patrimoni illecitamente accumulati, contribuendo in tal modo a un retto sviluppo sociale ed economico. D’altronde, come ha affermato il Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, «un bene che non si può utilizzare, non completa fino in fondo la funzione della confisca e cioè l'utilizzo di quel bene». Solo così sequestro e confisca possono diventare – invece di mere sanzioni destinate a disperdere cespiti potenzialmente produttivi – occasione e fonte di sviluppo, per creare occupazione e servizi.

L’intreccio tra mafie e impresa nel Nord Italia è un fenomeno da combattere a vari livelli e con strumenti molteplici. Il Corso di alta formazione per Amministratori giudiziari di aziende e beni sequestrati e confiscati vuole contribuire a creare le condizioni perché questo obiettivo possa essere raggiunto: formando amministratori giudiziari capaci di prestazioni manageriali di eccellenza e pienamente avvertiti del valore “profittevole” della legalità, in grado, dopo una opportuna azione di “bonifica” ad esempio in qualità di commissari giudiziali ai sensi dell’art. 15 d.lgs. 231/01, di restituire le aziende e i beni inquinati da infiltrazioni criminali alle normali dinamiche di mercato e al capitale sociale della comunità. La tavola rotonda del 18 ottobre, quale momento inaugurale del Corso, ha inteso far luce proprio su questa dinamica complessa tra economia, organizzazioni criminali e strumenti patrimoniali di contrasto.

Nel corso dell’incontro, inoltre, è stato firmato un protocollo d’intesa tra l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata per lo svolgimento delle attività didattico-formative del corso.