Modalità, strategie e linguaggi per promuovere Brescia anche all’estero. Sono le sfide che ha analizzato il convegno “Comunicare la città: il turismo culturale a Brescia" in una prospettiva internazionale che si è svolto il 19 e 20 novembre scorsi a Brescia. L’obiettivo dell’evento organizzato da Centro studi sul turismo era di proporre una riflessione su tre grandi ambiti: innanzitutto la comunicazione turistica, la costruzione dell’identità culturale attraverso la parola, le esigenze di mediazione interlinguistica e interculturale imposte dal turismo globalizzato. Poi il destination management e le strategie di promozione del prodotto turistico. Infine i punti di forza del patrimonio culturale locale, le politiche promozionali finora intraprese e le sfide future. È stata questa l’occasione per presentare agli operatori turistici una banca dati terminologico-testuale messa a punto da studiose dell’Università Cattolica e dell’Università di Vienna (Sara Lombardi, Peverati e Soukup-Unterweger) come strumento di supporto al processo di redazione e traduzione di testi turistici, entrambi operazioni estremamente delicate da cui dipende gran parte dell’industria turistica.

La prima parte del convegno ha visto la partecipazione di prestigiosi relatori provenienti dal mondo accademico internazionale, dal giornalismo e da diversi ambiti professionali all’interno del settore turistico locale e non. La mattinata del 20 novembre è stata dedicata al patrimonio storico-artistico di Brescia e alle modalità attraverso cui viene comunicato. Al tavolo dei relatori era presente anche il giornalista Maurizio Bernardelli-Curuz, direttore artistico della fondazione Brescia Musei, che ha parlato di “musei parlanti” e “eloquenza museale”, cioè musei eloquenti capaci di comunicare nei confronti del pubblico. «È necessario riprendere la comunicazione dell’epoca a cui il quadro risale e riportarla ai nostri giorni - ha detto -. Le opere diventano eloquenti infatti nel momento in cui vengono dotate di quei codici in parte persi e in parte dimenticati che consentono di ripristinare un collegamento diretto fra la superficie del dipinto e il suo significato profondo».

Il “caso Brescia” e di come i media abbiano veicolato le mostre organizzate negli ultimi anni è stato al centro dell’intervento di Massimo Tedeschi, giornalista del quotidiano “Bresciaoggi”. Dopo aver individuato come pubblico globale una fascia di persone mediamente colte e curiose, interessata a unire turismo e cultura e disposta a muoversi per assistere a qualcosa di bello e interessante, Tedeschi ha ripercorso le tappe attraverso le quali Brescia è diventa città d’arte a partire dagli anni ’80. Il primo approccio monumentale di cui si hanno tracce è la prima grande mostra dedicata al Romanino nel Duomo Vecchio nel 1965: un’artista locale, che ha calamitato l’attenzione di ben 70000 visitatori. Successivamente vennero inaugurate in ordine cronologico le mostre del Pitocchetto, del Moretto e infine del Savoldo. Brescia valorizzò cosi i suoi pittori e a sua volta i giornali si assunsero il compito di fare da guida alla lettura e interpretazione alle mostre, dedicando addirittura veri e propri inserti per sensibilizzare e attrarre il pubblico globale. Ma la grande svolta si ebbe nel quinquennio 2004/2009 con le mostre dedicate agli impressionisti curate da Marco Goldin di Linea d’ombra, con il sostegno della Fondazione Cab e di Brescia Musei. Si puntò molto sul piano della comunicazione e della commercializzazione. Tedeschi ha poi sottolineato la posizione geografica strategica e centrale che Brescia occupa rispetto a quel pubblico globale sulle cui emozioni le mostre fanno leva. Oltre alla qualità della mostra conta il contorno e soprattutto la comunicazione: pubblicizzare l’evento e promuoverlo incide sulla buona riuscita di esso. Tedeschi ha chiuso il suo intervento sostenendo che «Brescia ha una potenzialità e un patrimonio ricco di luoghi e risorse come Santa Giulia stessa, una grande offerta culturale sempre per quel pubblico diventato più globale, più vasto, meno statico». Tuttavia, si pecca riguardo i musei civici e del rinascimento e della galleria d’arte contemporanea. Da buon giornalista pone infine degli interrogativi tanto retorici quanto polemici: «La parte didattica è stata sfruttata fino in fondo? Perché non si investe maggiormente negli strumenti multimediali?»