Fatti di cultura_MantovaIl master Progettare cultura è stato invitato dal 9 al 12 ottobre a  Mantova alla prima edizione di Fatti di cultura su invito di doppiozero-cheFare per riflettere sul tema La cultura come lavoro.

Grazie agli incontri organizzati da cheFare e Pantacon a Mantova il master Progettare cultura ha potuto scambiare impressioni, riflessioni, sensibilità con mondi diversi tutti operanti in ambito culturale. Persone che cercano di far succedere delle (belle) cose.

Durante la giornata di apertura nella Sala degli Stemmi di Palazzo Soardi si sono susseguite le voci di diversi operatori attivi in ambito culturale. Nella prima parte del pomeriggio ci si è confrontati sul nuovo "ecosistema" che sta ridisegnando il lavoro in ambito culturale.

Nella seconda parte il focus è stato dedicato ai lavoratori della cultura e alle trasformazioni dell'economia. Il nostro contributo si è focalizzato sul dato che vede i giovani usciti dal master collaborare alla stesura di progetti in risposta a bandi in maniera sempre più decisiva e fin dallo stage.

Raccontando brevemente l'esperienza del progetto che ha segnato il percorso del master di quest'anno, la risposta al bando Transition dedicato all'innovazione sociale durante il project work, abbiamo ricordato come l'audience building sia un dato sul quale si è insistito particolarmente nella formazione dei partecipanti e nella verifica dei loro lavori.

Sappiamo che il "consumo" di cultura, dalla lettura di un libro alla visita a un museo, è calato negli ultimi 6 anni, ma il dato non dipende unicamente da questioni economiche, come si potrebbe pensare. I motivi riportati da una recente ricerca espressi dall'Eurobarometro 399 indicano nella mancanza di tempo, di interesse (50% risponde così per balletto e opera), di scelta (10% in media fra le diverse attività) alcune fra le ragioni principali . 

I dati andrebbero analizzati regione per regione, ma nell'insieme si evidenzia il cambiamento di bisogni e necessità che gli operatori in ambito culturale faticano talvolta a cogliere. Naturalmente ci sono importanti eccezioni, e alcune erano ben rappresentate anche a Fatti di cultura a Mantova, ma il sistema nell'insieme ha difficoltà ad aggiornarsi.

Una spiegazione è nel fatto che la maggior parte delle imprese in quest'ambito sia medio-piccolo e questo rende a volte difficile l'aggiornamento; e forse questo spiega perché chi ha frequentato il corso più di qualche anno fa è coinvolto nella stesura di bandi fin dallo stage: l'università viene riconosciuta come luogo di ricerca e innovazione necessaria ad affrontare il cambiamento. Altra caratteristica di strutture piccole in ambito culturale è quella riconosciuta da chi si occupa di stendere bandi: la maggior attenzione all'idea e al contenuto rispetto a elementi gestionali che fanno vivere il progetto, tanto quanto la cura del contenuto.

Venendo quindi alla domanda posta da cheFare "L’Italia degli ultimi anni ha prodotto una quantità straordinaria di figure con un’altissima specializzazione che, per motivi strutturali stentano a trovare una collocazione stabile nel mondo del lavoro [...]", se è vero che l'Italia sconta diverse carenze – su tutte sicuramente il fatto che all’interno di musei e istituzioni non si rinnovi il personale, sempre meno numeroso col blocco delle assunzioni, più agée – e che questo crea in parte i risultati negativi che conosciamo in termini di visitatori e spreca delle risorse ben formate, è anche vero che in generale possiamo affermare che gli studi riescono a contrastare gli effetti negativi della crisi: c’è necessità di capitale umano qualificato nelle società/associazioni che si occupano di cultura, e naturalmente deve essere altamente specializzato. 

Occuparsi di gestione in ambito culturale richiede caratteristiche precise che non tutti i manager, né tutti gli storici dell'arte/curatori possono soddisfare: un mix di flessibilità e rigore, che è la caratteristica principale di tutti i professionisti capaci che abbiamo incontrato in questi anni, e che viene riconosciuta e apprezzata anche nei giovani quando c'è. 

Sappiamo che negli ultimi anni le società/associazioni hanno serie difficoltà a gestire nel medio periodo il flusso di lavoro (e di conseguenza le risorse necessarie) ma spesso quando un responsabile incontra una persona valida fa il possibile per tenerla.

Rispetto alla collocazione stabile dei lavoratori in ambito culturale si può anche riflettere sul fatto che fa parte delle nostre professioni inserirci in un gruppo di lavoro che si trova e si scioglie in base alle necessità del progetto, non è tanto questo il vero tema, quanto una retribuzione equa.

La domanda proseguiva "Questa fragilità sta cambiando le forme della produzione culturale? Quali sono le prospettive per i lavoratori della cultura?"

A noi sembra che stia rendendo gli operatori più sensibili e attenti, più disponibili a riflettere su bisogni del pubblico, aggiornamento di linguaggi, apertura all’estero, ecc… 

Allo stesso tempo si guadagnano uno spazio e una visibilità progetti più sperimentali e coraggiosi come quelli che hanno della cultura un'idea profonda di costruzione di senso, risposta a bisogni, non di replica di meccanismi che utilizzano cultura per fare biglietteria, e solo quello. 

Fra tutti i casi raccontati a Mantova ci ha colpito il panel dei partecipanti a vari bandi di innovazione culturale, 6 casi studio*, che hanno restituito l'evidenza di come situazioni di difficoltà producano anche gli "anticorpi" che poi fanno vivere meglio tutti. Non è una novità ma è una lettura, fra l'altro, di come la crisi abbia anche un aspetto positivo rendendo più attenti a elementi che reagiscono e rispondono ai problemi, non li subiscono.

Per i lavoratori in ambito culturale si sta passando da un'idea di lavoro dipendente (in enti o società) ad una maggior propensione all'imprenditorialità: sia come possibilità di inserimento (diversi casi dimostrano che il responsabile si adopera per mantenere un elemento che fa la differenza), sia come possibilità di una propria associazione/società. 

Altro tema su cui riflettere è sicuramente la difficoltà di "etichettare" le professioni che stanno nascendo in risposta a bisogni di una società che in pochi anni è cambiata. Il fatto che molti lavori non siano ancora chiaramente definiti e che la maggior parte degli operatori culturali in una giornata ricopra mansioni diverse, tutte altrettanto importanti e necessarie, non aiuta a definire dei ruoli e di conseguenza a vedere riconosciute le proprie specificità.

Un altro dato sul quale riflettere, ma qui passiamo la palla ai sociologi, è il dato che vede in quest'ambito una maggioranza femminile di lavoratori. Cosa comporta rispetto alla flessibilità lavorativa e alla precarietà? Rispetto alla richiesta di una retribuzione equa?

*di Casa in casa (Torino), Farm Cultural Park (Favara, Agrigento), Liberos (Sardegna), TwLetteratura (everyware), Kilowatt (Bologna), Big Bang (Bologna)