Perché la radio? È l’interrogativo a cui hanno dato una risposta produttori, autori e conduttori radiofonici, da Sergio Valzania a Linus, ospiti il 4 febbraio nell’aula Sant’Agostino dell’Università Cattolica del seminario promosso dal master in Comunicazione musicale, diretto da Gianni Sibilla. Un laboratorio di idee per parlare di quello che il professor Giorgio Simonelli ha definito il primo mezzo di comunicazione moderno.

Moderno perché non presuppone un luogo apposito deputato alla sua fruizione. Moderno perché nella radio affonda le sue radici il mass media che più ha caratterizzato il nostro tempo: la televisione. «Tutto il calcio minuto per minuto – spiega Simonelli – è un format radiofonico su cui si basa il 70% dei format televisivi. Basti pensare alla diretta che molte reti hanno fatto per seguire le elezioni del Presidente della Repubblica: c’erano il conduttore in studio e poi una serie di collegamenti esterni, proprio come avveniva nel famoso programma radiofonico».

Ma la radio non è stata solo un precursore dei tempi e un’ispirazione. La radio è molto di più. Tanto per cominciare è una compagna di vita, sa essere sempre con noi senza essere invasiva. «È quella cosa che c’è di sottofondo», afferma Tiziano Bonini, autore radiofonico e ricercatore dello Iulm, che però confessa di amare molto anche la radio parlata. È un medium che insegna a stare zitti, o meglio, a non parlare troppo e apprezzare la sintesi.

Se la televisione vive di generi, la radio li distrugge: «Quando fai un programma alla radio - afferma Sergio Valzania, vicedirettore di Radio Rai - non sai mai come andrà a finire, per quanto tu possa cercare di predeterminarlo».

 

 

A spezzare la “poesia” - come lui stesso l’ha definita - di tutte queste “dichiarazioni d’amore” è intervenuto Carlo Momigliano, Chief Marketing Officer del gruppo Finelco, che ha chiarito il perché la radio, oltre a essere bella, è anche conveniente: costa poco e genera engagement. Ma allora perché perde pubblico? Le ultime rilevazioni parlano chiaro: gli ascolti sono in calo. C’è chi, come Luca De Gennaro di Radio Capital, parla dell’importanza della targettizzazione: individuare un pubblico di riferimento, calibrare l’offerta e rimanere coerenti con essa è fondamentale per recuperare il terreno perduto.

C’è chi, invece si scaglia contro la radio di flusso: la scelta di una playlist con le stesse canzoni che ruotano per un certo periodo di tempo sarebbe deleteria secondo Dario Spada, giovane conduttore di Radio 105. «La libertà di passare in radio qualunque pezzo è venuta meno quando il business è diventato una parte fondamentale delle emittenti». A suo parere, la radio dovrebbe essere una sorta di Virgilio che accompagna l’ascoltatore alla scoperta delle nuove tendenze. Oggi questa funzione è ricoperta soprattutto da Youtube o Twitter. Per De Gennaro, invece, la radio mantiene comunque la funzione di apporre un sigillo di garanzia, un marchio di qualità della buona musica.

Il panel ha raggiunto il culmine con l’arrivo di Linus, direttore artistico di una delle radio commerciali più ascoltate in Italia: Radio Deejay. A chi gli domanda perché il mezzo radiofonico non lascia spazio alle nuove leve risponde con una metafora calcistica: «È come se in Italia ci fossero le squadre di paese e poi le grandi squadre come la Juventus. Mancano le categorie intermedie e passare dalle une alle altre è un salto troppo grande per essere affrontato in una volta sola».