L’11 settembre 2001 Al-Qaeda sferrò i più gravi attacchi terroristici aerei della Storia. Oggi, a quasi vent’anni di distanza, la minaccia può arrivare ancora dal cielo. Il pericolo è rappresentato dai droni, velivoli a pilotaggio remoto che, nonostante rappresentino un importante strumento ad uso civile (sono utilizzati con profitto, solo per fare qualche esempio, in agricoltura, tutela ambientale e architettura) negli ultimi tempi sono finiti sotto la lente d’ingrandimento delle intelligence a causa del crescente interesse mostrato dalle organizzazioni terroristiche verso questi mezzi.

Di questo fronte, ancora parzialmente inesplorato, se n’è discusso lunedì 9 dicembre in Cattolica durante il convegno Il Foglio 83V: la sicurezza aerea, il primo evento accademico dedicato ai rischi legati all’utilizzo criminale dei droni.

A introdurre i lavori il prof. Marco Lombardi, direttore del Centro di ricerca Itstime: «Il tema con cui le nuove tecnologie vengono usate dai terroristi è centrale. Non dobbiamo dimenticare – e gli smartphone in tal senso sono un ottimo esempio – che ormai queste si evolvono sulla base dell’esperienza di chi le utilizza non di chi le ha progettate. Da questo punto di vista il terrorismo è stato un “ottimo” utente. Abbiamo pensato che i terroristi seguissero i nostri stessi schemi mentali. Non è così, hanno un’altra prospettiva»

«L’uso delle tecnologie – spiega Lombardi – finisce sempre per sorprenderci. Inevitabile il gap normativo-militare. Siamo sempre in ritardo perché attuare norme per fenomeni che non siamo in grado di prevedere è complesso. Le implicazioni inaspettate abbondano».

Secondo Lombardi è quindi necessario mantenere alta la guardia: «Per quanto riguarda il terrorismo di matrice islamista lo spazio di utilizzo dei droni è stato pesantemente ridotto a causa della perdita di territorio da parte di Daesh. Ma il terrorismo è stato molto abile a “viralizzare” i propri attacchi che grazie a semplici tutorial hanno “armato” persone insospettabili come dimostrano i recenti attacchi con coltelli e camion, oggetti di uso quotidiano. Inserito in questo contesto il drone è uno strumento in grado di fare molto male. La minaccia è fisica, tattica e psicologica. Perché l’obiettivo del terrorismo non è quello di uccidere più persone ma di diffondere paura».

Il problema è serio perché i terroristi i droni, li sanno usare davvero bene: «I droni con cui sono stati effettuati attacchi – ha ricordato Francesco Liguoro, Security Manager Stargate e docente di Security Training - sono quelli acquistabili tranquillamente in commercio, opportunatamente modificati grazie a integrazioni reperibili anch’esse sul mercato. Ci sono casi in cui alcuni “pezzi” sono stati addirittura fabbricati con stampanti 3D. I terroristi sono stati in grado di sganciare granate centrando con precisione l’obiettivo da oltre 120 metri. Ci vuole una certa “maestria”, se mi si consente il termine, per farlo con un mezzo che non è certo di fabbricazione militare. Un’abilità frutto di addestramento. Dobbiamo uscire dallo scenario stereotipato dell’hacker. Non c’è più il ragazzo smanettone che dalla sua cameretta buca i sistemi di sicurezza. La realtà è ben più strutturata».

L’Italia tuttavia è tra i Paesi più consapevoli del rischio droni: «In caso di attacco l’Italia è avanti rispetto ad altri Paesi – ha ricordato Maria Grazia Santini, presidente del Forum Security - perché nei due piani di gestione della crisi Leonardo da Vinci (via aria) e Cristoforo Colombo (via mare) sono state introdotti i droni e definiti nuovi protocolli di esercitazioni».

«Se pensiamo che in un singolo giorno nei cieli europei sono stati rilevati oltre 200mila droni appare evidente come si riproponga con urgenza il tema della gestione integrata dello spazio aereo. Canada, Pakistan, Sudamerica e Europa devono avere le stesse regole».

Un tema, quello della regolamentazione, ricordato anche da Franco Gennaro di Enac che ha ricordato come l’Italia nel 2013 è stata tra le prime in Europa ad aggiornare la legislazione dei velivoli a pilotaggio remoto.

Rischi che sono stati evidenziati da Gabriele Baldoni dell’Enav che ha ricordato un paio di casi realmente avvenuti nello scalo di Malpensa e che hanno visto i droni bloccare il traffico aeroportuale a più riprese.  In entrambe le situazioni il drone non è stato localizzato e il navigatore, ovvero colui che lo controlla, non è stato identificato. Quasi sempre l'avvistamento e la segnalazione viene effettuata da piloti o dagli organismi di security aeroportuale che pattugliano i perimetrali (airside). Il problema principale è costituito dal fatto che né la torre di controllo né gli attuali sistemi radar sono in grado di individuare i droni che costituiscono, ad oggi, un serio pericolo per la navigazione e i passeggeri. Anche se, in via sperimentale, l’aeroporto di Fiumicino si sta dotando di nuovi sistemi in grado di sopperire a questo problema.